Il processo contro Julian Assange rischia di creare “un precedente pericoloso” che “minaccia la libertà di informare e rischia di ridurre la portata del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”, è l’appello di New York Times, Guardian, Le Monde, El Pais e Der Spiegel in favore del fondatore di WikiLeaks. Le stesse testate dodici anni fa, il 28 novembre 2010, si unirono per pubblicare una serie di rivelazioni scioccanti, grazie al sito di Assange, notizie poi riprese dai media del mondo intero, quindi sottolineano: “Pubblicare non è un reato”.
Oggi con una lettera pubblica i cinque giornali chiedono agli Usa di non processare il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, detenuto nel Regno Unito. La lettera ricorda che 12 anni fa fu reso pubblico il contenuto di oltre 251 mila telegrammi diplomatici del Dipartimento di Stato Usa: da quei documenti risultavano diverse vicende di corruzione, scandali e spionaggi a livello mondiale.
I 5 giornali quindi esprimono “grande preoccupazione per i procedimenti giudiziari senza fine che Julian Assange subisce per aver raccolto e pubblicato informazioni confidenziali e sensibili”. Inoltre fanno notare che “l’amministrazione Obama-Biden, in carica nel 2010, non aveva citato in giudizio Assange, spiegando che in questo caso avrebbero dovuto essere accusati anche molti giornalisti di diversi grandi media. Questa posizione riconosceva la libertà di stampa come fondamentale, a prescindere dalle conseguenze”.
Ma con Trump “questa visione delle cose è evoluta e il dipartimento di giustizia si è basato su una legge vecchia di oltre un secolo, l’Espionage Act, concepito durante la prima Guerra mondiale per poter incriminare potenziali spie, ma non era mai stato usato contro i giornalisti”.
L’appello conclude: “Dodici anni dopo le prime pubblicazioni è venuto il momento per il governo degli Stati Uniti di abbandonare i procedimenti contro Julian Assange per aver pubblicato informazioni segrete. Pubblicare non è un reato”.
Quella documentazione eccezionale di Assange continua ad essere sfruttata dai giornalisti e dagli storici per rivelazioni inedite. Ma tutto questo è costato caro al fondatore di WikiLeaks: il 12 aprile 2019, Assange è finito in manette a Londra, su mandato di arresto Usa. A parte un periodo di asilo nell’ambasciata dell’Ecuador nella City, Assange è in carcere nel Regno Unito da 3 anni e mezzo, in attesa di essere espatriato negli Stati Uniti. E negli Usa il giornalista australiano rischia una pena fino a 175 anni di carcere ad altissima sicurezza.