Il governo cinese ha arrestato 12 persone coinvolte nelle due grandi esplosioni avvenute il 12 agosto nella città di Tianjin, nel nordest del Paese a 100 chilometri dalla capitale Pechino.
Tra i 12 che sono stati fermati, almeno cinque ricoprono alte cariche dirigenziali, tra cui anche il presidente e il vicepresidente della Ruihai International Logistics, la società che gestiva il deposito di sostanze chimiche esploso lo scorso 12 agosto. L’esplosione causò la morte di almeno 139 persone, di cui ancora oggi ne mancano all’appello 34.
Fra gli indagati per le esplosioni di Tianjin appaiono anche 11 tra ufficiali e funzionari dell’amministrazione pubblica cinese. Dieci di questi sono stati accusati di inadempienza e un’altra persona è stata incriminata per abuso di potere.
I procuratori che stanno seguendo il caso hanno dichiarato che le autorità preposte al monitoraggio delle attività della Ruihai hanno agito in maniera irresponsabile, negligente e superficiale.
Tra le agenzie accusate sarebbero compresi gli uffici locali del trasporto, delle risorse territoriali, della sicurezza sul lavoro e le autorità doganali di Tianjin, insieme alla compagnia statale che è proprietaria del porto.
Le accuse dei procuratori insistono soprattutto sull’illegittimità dell’autorizzazione a costruire un deposito di sostanze chimiche senza rispettare le distanze di sicurezza imposte dalla legge cinese.
Il sito era infatti stato edificato a meno di un chilometro da una zona residenziale. Il mancato rispetto delle distanze di sicurezza avrebbe contribuito ad aumentare il numero di vittime in seguito all’esplosione.
In Cina l’attenzione verso le condizioni di sicurezza sui posti di lavoro sta aumentando esponenzialmente. Il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping ha dichiarato che le autorità faranno tesoro di questa lezione pagata con il sangue.
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