Argentina non c’è più spazio per il popolo Qom
A gennaio nella provincia del Chaco, in Argentina, la temperatura può arrivare facilmente al di sopra dei 45 gradi. La terra si sgretola sotto i piedi, e gli stretti sentieri nel mezzo della foresta del nord sono tutti attraversati dalle crepe della siccità estiva. In autunno e primavera, stagioni delle piogge, quegli stessi sentieri si trasformano in una fanghiglia impossibile da attraversare, che insieme alla folta vegetazione tropicale danno il nome alla regione: El Impenetrable. In quest’area di quattro milioni di ettari vivono circa 60 mila persone, la stragrande maggioranza appartenenti alla comunità Qom, popolo ancestrale del nord dell’Argentina.
Tra i Qom è diffusissimo il morbo di Chagas, una malattia trasmessa dalla puntura di una cimice, la vinchuca, che si annida nelle baracche di legno precarie dei villaggi e negli alberi circostanti. Pochi parlano spagnolo. Le sporadiche visite dei medici inviati dal governo provinciale si trasformano in un grattacapo per dottore e paziente, il più delle volte incapaci di comprendersi. La crisi umanitaria nella zona è sempre più preoccupante, ma da qualche tempo sono altri tipi di minacce a far paura. Pestaggi, scontri, uccisioni e discriminazione sono diventati ormai eventi quotidiani per i Qom. La settimana scorsa, una lunga lista di intellettuali, scrittori e giornalisti di tutto il Paese – tra cui spiccano lo scrittore Osvaldo Bayer e il giornalista Darío Aranda – hanno pubblicato una lettera al presidente Cristina Fernandez de Kirchner, contro “la repressione e morte di cittadini argentini membri del Popolo Qom”.
“La mia famiglia vive un persecuzione esasperante”, dice il capo della comunità Potae Napocna Navogoh (La Primavera), Fèlix Diaz, della provincia di Formosa. Di fronte a lui, il nuovo segretario ai Diritti Umani del governo federale lo ascolta e prende nota. Diaz si è trasformato da qualche anno in un personaggio pubblico, quando nel 2010 la sua gente fece resistenza all’ennesimo sgombero dalla propria terra, e durante gli scontri restarono uccisi un poliziotto e uno dei Qom. Diaz si spostò così alla capitale, Buenos Aires, per far sentire la sua voce, assieme a un centinaio di uomini e donne della comunità. Diaz e i suoi in quel tragico 2010 mantennero chiusa buona parte di via 9 de Julio, arteria principale del traffico della capitale, per cinque mesi, come forma di protesta.
Poi ci fu una lunga serie di omicidi: Mario López, investito da un gendarme, Alberto Galván, fucilato e dato in pasto ai piranha nel gennaio 2011, Imer Flores, 12enne pestato a morte lo scorso 5 gennaio, Celestina Jara e sua nipote Natalia Lila Coyipe di 11 mesi, investite da un gendarme lo scorso 10 gennaio. L’ultimo caso è quello di Daniel Asijak di 16 anni, nipote di Fèlix Diaz, trovato morto e con segni di pestaggio pochi giorni fa. Lo stesso Diaz, ad agosto, era stato investito dall’auto di un proprietario terriero in conflitto con la comunità La Primavera.
Ed è proprio la terra il centro della disputa. I Qom rivendicano il riconoscimento della proprietà comunitaria delle terre che abitano da secoli, vendute in molti casi a imprenditori della soia.
Le popolazioni indigene in Argentina spesso sono state rinchiuse in riserve o piccole porzioni di territorio, come El Impenetrable. Lì soffrono a causa della denutrizione e di malattie normalmente curabili come la pneumonia o la tubercolosi. I Qom uccisi durante gli ultimi due anni appartengono a comunità che vivono in luoghi che fanno gola alle aziende agricole. Alcune di esse sono accusate di aver pagato dei sicari per togliere di mezzo famiglie di contadini, come nel recente caso di Miguel Galván, ucciso a Santiago del Estero nell’ottobre scorso. A questi casi si aggiungono gli sgomberi.
Nella sua ultima visita in Argentina, il relatore speciale alle Nazioni Unite per i popoli indigeni, James Anaya, ha esortato il presidente Fernandez a “sospendere tutti gli atti processuali o amministrativi di sgombero contro le comunità indigene fino a quando non si realizzi un rilevamento tecnico-giuridico delle terre occupate”.
Ma di terre da occupare, a quanto pare, non ne rimangono molte. Secondo un documento pubblicato in questi giorni dall’officina per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile della nazione, sono stati distrutti due milioni di ettari di foresta nativa negli ultimi due anni, per far posto all’oro verde del Sudamerica, la soia. Foresta nativa esattamente come quella del Impenetrable, dove si aspetta la fine dell’estate, e della violenza, per tornare a coltivare cotone e zucche.