L’Arabia Saudita si appresta a eseguire la condanna a morte di un uomo affetto da disabilità fisiche. La sua colpa, secondo il governo di Riad, è quella di aver preso parte cinque anni fa ad alcune proteste anti-governative scoppiate nella regione di Qatif, a maggioranza sciita.
La vittima designata è Munir al-Adam, condannato nel 2011 da un tribunale speciale di Riad per aver organizzato la protesta inviando alcuni messaggi telefonici. Accuse che non hanno mai trovato alcun fondamento, secondo la famiglia del ragazzo, in quanto Munir al-Adam non possedeva un telefono cellulare all’epoca, essendo troppo povero per permetterselo. Questo particolare, tuttavia, non è stato sufficiente per scagionare il giovane, che è stato rinchiuso in prigione dall’età di 18 anni.
Munir al-Adam, oggi 23enne, soffre di gravi menomazioni fisiche a causa di un incidente accaduto quando aveva sei anni. Alcune gravi ferite al cranio lo resero parzialmente cieco e sordo.
Dopo l’arresto, il problema all’udito è peggiorato a causa delle pesanti percosse inflitte al ragazzo dalla polizia. Secondo la famiglia, Munir è stato torturato e picchiato, fino a provocargli danni permanenti al sistema uditivo già danneggiato.
L’uomo ha infatti raccontato di essere stato costretto a firmare un documento con il quale confessava i reati, dopo essere stato ripetutamente picchiato.
Nel mese di gennaio, l’Arabia Saudita ha giustiziato in un solo giorno quarantasette manifestanti e presunti sostenitori di Al-Qaeda. A luglio, le decapitazioni eseguite nel paese sono state 108. Con una popolazione di quasi 29 milioni di persone, l’Arabia Saudita rischia di raggiungere e perfino superare le oltre duemila esecuzioni capitali all’anno.
Secondo una ricerca condotta nel 2015 da Reprieve, un’organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani, il 72 per cento delle persone condannate a morte in Arabia Saudita hanno ricevuto una sentenza ingiusta, senza alcuna prova concreta che supporti la tesi dei tribunali sauditi. Inoltre, le torture fisiche sono fra le pratiche più impiegate dalla polizia contro i colpevoli affinché confessino la loro colpa.
“Il caso spaventoso di Munir mostra chiaramente come le autorità saudite sono propense a sottoporre le persone più vulnerabili alla lama del boia”, ha dichiarato un membro di Reprieve.
Non è una novità che paesi come l’Arabia Saudita, il Pakistan e l’Iran siano i responsabili del 90 per cento di tutte le esecuzioni capitali registrate a livello mondiale.
Secondo il portavoce di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa, Sara Hashah, “in Arabia Saudita, le persone vengono regolarmente condannate a morte al termine di processi iniqui. Si è assistito inoltre a un incremento drammatico del numero di esecuzioni negli ultimi due anni. Un dato aumentato nel 2016”.
Nonostante le numerose esecuzioni capitali, condannate dagli attivisti, l’Arabia Saudita è stata rieletta di recente come membro del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
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