L’Arabia Saudita ha giustiziato oggi altri due condannati a morte, un cittadino locale e un pachistano, portando a 106 – secondo i dati del ministero degli Interni di Riad – il numero delle esecuzioni capitali compiute nel regno dall’inizio del 2024.
Le due persone giustiziate erano state condannate per traffico di stupefacenti. Le autorità saudite hanno ripreso le esecuzioni di questo genere di condannati soltanto alla fine del 2022, dopo un’interruzione durata quasi tre anni. In totale, dall’inizio dell’anno, sono stati giustiziati sette trafficanti, mentre nel 2023 il numero dei giustiziati aveva raggiunto le 170 persone, di cui 33 per crimini legati al terrorismo.
Tra le persone giustiziate quest’anno figurano 78 cittadini sauditi, otto yemeniti, sette pakistani, cinque etiopi, tre siriani, un cingalese, un nigeriano, un giordano, un indiano e un sudanese, comprese due donne.
“Nel mese di luglio l’Arabia Saudita ha giustiziato 1 persona ogni 24 ore”, ha denunciato oggi l’ong European Saudi Organisation for Human Rights (ESOHR), che ha sede a Berlino e si batte per l’abolizione della pena di morte. “La vita di 9 minorenni è in grave pericolo, tra cui 2 la cui morte è stata approvata dalla Corte Suprema e sono in attesa della firma del re”.
“Cento esecuzioni in 196 giorni dimostrano l’insistenza del governo saudita nell’utilizzare regolarmente la pena di morte, in violazione del diritto internazionale e dei suoi impegni ufficiali”, aveva già denunciato l’ong in una nota diramata prima delle ultime esecuzioni.
Le autorità ritengono che queste esecuzioni, generalmente effettuate mediante decapitazione con una sciabola, siano compatibili con la Sharia, la legge islamica, e che siano necessarie per “mantenere l’ordine pubblico”.