Dalla mezzanotte di ieri, tra sabato 23 e domenica 24 giugno 2018, è caduto il divieto di guida per le donne in Arabia Saudita.
L’Arabia Saudita era l’ultimo paese al mondo a non riconoscere ancora il diritto di guidare alle donne, che finora dovevano fare affidamento su mariti, fratelli o autisti.
La storica svolta era stata annunciata lo scorso settembre nell’ambito del grande programma di riforme sociali e economiche promosso dal principe ereditario Mohammed bin Salman per modernizzare il Regno saudita, che è fra i Paesi islamici più conservatori e rigidi al mondo.
La caduta del divieto è stata ottenuta anche grazie alle proteste di numerose attiviste che, anche nelle ultime settimane, sono state punite con il carcere.
Nessuna saudita, tuttavia, ha ancora la patente. Per questo, al fine di inaugurare il nuovo corso, decine di donne del Bahrain si sono recate in Arabia al volante delle loro auto.
La strada per raggiungere le pari opportunità, però, è ancora lunga.
Nell’indice delle pari opportunità per il 2017 del World economic forum l’Arabia Saudita è 138esima su 144. Le donne non possono ottenere un passaporto o viaggiare all’estero senza il permesso di un uomo.
Lo stesso vale per il lavoro, il matrimonio o il divorzio. Ci sono anche regole molto rigide sull’abbigliamento e restrizioni sulle frequentazione dei luoghi comuni.
La dottrina wahabita
Nel regno saudita vige la dottrina wahabita, un’interpretazione fondamentalista del Corano che viola i diritti delle donne, compreso quello di fare attività sportive in strutture o luoghi pubblici.
Secondo le regole vigenti nel regno saudita, le donne devono infatti avere il consenso di un tutore di sesso maschile – che sia il padre, il fratello o un altro parente – per sposarsi, per ottenere il passaporto, per viaggiare all’estero e spesso anche per lavorare o studiare, anche se non è espressamente previsto per legge.
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