“Cercasi otto funzionari religiosi per svolgere le seguenti mansioni: decapitazioni e amputazioni.” Il ministero del Servizio Civile saudita ha pubblicato un annuncio sul proprio sito ufficiale per reclutare otto nuovi boia.
Il candidato ideale non dovrà possedere alcuna qualificazione particolare ma dovrà eseguire le condanne a morte e, nel caso di reati minori, le amputazioni degli incriminati.
L’Arabia Saudita, un membro del consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha raggiunto un livello record di condanne a morte eseguite quest’anno.
Con la decapitazione di domenica 17 maggio, il numero di esecuzioni capitali è salito a quota 85 nel 2015. Secondo i dati forniti da Human Rights Watch, l’anno scorso le decapitazioni sono state complessivamente 88.
“C’è già stato un incremento senza precedenti nel numero di esecuzioni in Arabia Saudita quest’anno. Il reclutamento di altri boia è un chiaro segno che le autorità non hanno alcuna intenzione di mettere fine a questa frenesia omicida entro un breve periodo,” ha detto il ricercatore di Amnesty International Sevag Kechichian in un’intervista al The Independent.
Molte condanne a morte sono dovute a omicidi, ma ce ne sono molte anche per reati di droga. Circa la metà dei condannati è saudita, mentre gli altri provengono da Pakistan, Yemen, Siria, Giordania, India, Indonesia, Birmania, Ciad, Eritrea, Filippine e Sudan.
“All’interno della legge islamica non vi è alcun riferimento alla pena di morte per chi commette reati di droga,” ha detto Adam Coogle di Human Rights Watch. “I sauditi non devono giustiziare le persone per questo tipo di reati”.
L’Arabia Saudita è il terzo Paese per numero di persone giustiziate nel 2014.