Il 4 giugno 2014, in occasione del 25esimo anniversario del massacro di piazza Tienanmen, lo scrittore cinese Ma Jian scriveva questa testimonianza, ricordando i fatti del 1989 e riflettendo sull’eredità lasciata da quel movimento di protesta.
Il 4 giugno del 1989, il partito comunista cinese (Pcc) inviò dei carri armati con 20mila soldati a reprimere la protesta pacifica a favore della democrazia, che era stata indetta a piazza Tiananmen, a Pechino, causando centinaia se non migliaia di morti. Io e i miei connazionali non potevamo immaginare che, 25 anni dopo, questo barbaro regime sarebbe stato ancora al potere, e che quello che era successo sarebbe diventato un tabù.
Ma nonostante i grandi sforzi compiuti dal partito per cancellare questo episodio dalla storia, i ricordi del massacro non accennano a scomparire. Il giorno del 25esimo anniversario, Tienanmen è più importante che mai.
Il bilancio delle vittime del movimento per la democrazia di piazza Tienanmen potrebbe sembrare limitato, se confrontato ai milioni di morti che ci furono a seguito delle politiche adottate durante il Grande Balzo in Avanti o la Rivoluzione Culturale. La sua importanza, tuttavia, non risiede nel numero di vittime, ma nella nobiltà delle aspirazioni dei manifestanti e nella forza dell’eredità che ci hanno lasciato.
Il Pcc e gli occidentali che lo sostengono tendono a dire che la Cina, con la sua immensa popolazione, la sua storia millenaria e le sue tradizioni culturali, non ha alcun desidero – o addirittura bisogno – di una democrazia costituzionale, e che è molto meglio che prosegua il suo cammino speciale, basato sulla combinazione di dittatura politica ed economia di mercato.
Ma Tienanmen mostrò al mondo intero che i cinesi non sono diversi da tutti gli altri esseri umani. Quando gli è stata data la possibilità di esprimere le proprie opinioni liberamente, hanno colto al volo quest’occasione e urlato all’unisono il loro desiderio di democrazia, libertà e diritti umani.
Sebbene la comprensione che avevano di questi concetti fosse piuttosto elementare, il popolo cinese istintivamente comprese, come i manifestanti che prima di loro scesero a Place de la Bastille o a Wenceslas Square, che questi ideali costituivano le fondamenta di qualsiasi nazione civilizzata e umana.
Sostenere che i cinesi siano inadatti o non ancora pronti alla democrazia e alla libertà equivale a considerarli come qualcosa di inferiore a un essere umano.
La leadership del partito continua a ripetere che è giunta a una “chiara conclusione” sui fatti di Tienanmen: si è trattato di una rivolta contro-rivoluzionaria messa in atto da una piccola minoranza di facinorosi, che è stato necessario sopprimere per proteggere la crescita economica della Cina. Questa conclusione è chiara, ma errata.
Le manifestazioni democratiche non furono né “controrivoluzionarie” né considerabili come delle “rivolte”. Si trattò invece di una sollevazione di massa spontanea, il risveglio di una nazione giubilante, in cui milioni di studenti, lavoratori e professionisti si riunirono pacificamente per settimane nelle piazze pubbliche di tutto il Paese per chiedere che i diritti a loro garantiti nella costituzione fossero rispettati: libertà di parola, di stampa, di manifestazione e di eleggere i propri leader – tutte cose basilari che l’occidente dà per scontato.
Si trattò delle manifestazioni più ordinate, contenute e auto-disciplinate a cui il mondo abbia mai assistito. Un gruppo di studenti manteneva il controllo della folla; schiere di volontari distribuivano cibo e bibite e fornivano gratuitamente cure mediche ai manifestanti.
Nelle follie della Cina del ventesimo secolo, le proteste di piazza di Tienanmen rappresentarono un momento di profonda saggezza, dove l’individuo emerse dalla collettività sonnolente e ritrovò la sua voce più autentica.
In questa atmosfera di libertà, la gente utilizzò la propria creatività e la propria intelligenza per affrontare e mettere in discussione il potere dello Stato. I giovani strimpellavano le ballate di Bob Dylan attorno ai falò e danzavano nell’oscurità.
La Symphony Orchestra di Pechino portò i suoi strumenti in piazza e mise in scena un’esibizione improvvisata dell’Inno alla gioia di Beethoven. Gli studenti d’arte eressero una replica della Statua della Libertà, proprio di fronte all’enorme ritratto del presidente Mao sul lato nord della piazza.
Il leader degli studenti, Wu’er Kaixi, rimproverò il premier Li Peng sulla TV nazionale, indossando un pigiama a righe. Fu creata un’Università per la democrazia, in cui i professori tenevano seminari su Thomas Paine e la Rivoluzione Francese. Quando il governo respinse le richieste di dialogo, centinaia di studenti legarono attorno alle proprie teste bandane bianche e cominciarono uno sciopero della fame.
Il 3 giugno, Liu Xiaobo, poi docente presso l’Università Normale di Pechino, portò in piazza il suo sciopero della fame assieme all’economista Zhou Duo, la rock star Hou Dejian e il membro del partito Gao Xin, per protestare contro la legge marziale e chiedere una transizione pacifica verso la democrazia.
Tienanmen rivelò il vero volto non soltanto del popolo cinese, ma anche quello del partito comunista cinese, che mostrò di essere un regime pronto a massacrare i propri cittadini disarmati pur di preservare il proprio potere.
Sostenere che le morti furono necessarie a “ristabilire l’ordine” e a garantire la crescita futura oltre a essere sbagliato è moralmente ripugnante. Taiwan rappresenta la prova evidente che i cinesi possono combinare con successo la democrazia al capitalismo.
La rapida crescita economica della Cina negli ultimi 25 anni è dovuta in gran parte non al partito comunista ma a lavoratori cinesi privi di un sindacato e pronti a lavorare in condizioni precarie e con bassi stipendi.
Un governo democratico e responsabile avrebbe senza dubbio puntato a una crescita economica meno frenetica, ma più sostenibile, con meno corruzione e devastazione ambientale.
Fino a oggi, gli unici che sembrano essere usciti vincitori dai fatti di Tienanmen sono i membri del Pcc. Il massacro ha privato di ogni legittimazione morale il partito che, però, come un virus resistente, è mutato in modo imprevedibile per assicurare la propria sopravvivenza.
Sotto lo slogan di un capitalismo autoritario, il partito ha riempito le pance dei cinesi mentre ne incatenava le menti; ha incoraggiato il desiderio ardente di ricchezza materiale soffocando però la voglia di riflettere sul passato e di fare domande sul presente.
Ma la vittoria del partito è una vittoria priva di valore. La sua repressione quasi psicotica di qualsiasi riferimento ai fatti di Tienanmen rivela il senso di colpa che il partito nutre per l’eccidio compiuto e il terrore che ha nei confronti della verità.
Nel frattempo la lista delle vittime di Tienanmen continua a crescere. Wu’er Kaixi e altri leader del gruppo studentesco continuano a vivere in esilio. Liu Xiaobo, nonostante abbia vinto il premio Nobel per la pace nel 2010, sta scontando una pena detentiva di 11 anni per sovversione allo stato, mentre sua moglie Liu Xia è agli arresti domiciliari.
Prima di ogni anniversario del massacro, gli attivisti sono regolarmente messi sotto torchio dalla polizia, ma quest’anno la repressione del dissenso è stata più dura che mai. Il 24 aprile, Gao Yu, giornalista di 70 anni, è stata arrestata assieme a suo figlio e ai suoi quattro gatti, per aver divulgato un documento del partito che elencava sette “argomenti che non si possono menzionare” e che alla stampa era stato espressamente richiesto di ignorare, tra cui valori universali, libertà di stampa, diritti dei cittadini e le aberrazioni storiche del partito.
Attualmente Gao Yu è detenuta illegalmente e suo figlio è scomparso. Il 3 maggio, 15 intellettuali hanno tenuto un seminario in una casa privata di Pechino per commemorare il 25esimo anniversario del massacro. Tre giorni dopo, cinque dei 15 partecipanti, tra cui il noto avvocato dei diritti civili Pu Zhiqiang e lo studioso Xu Youyu, entrambi in gravi condizioni di salute, sono stati tenuti in stato di fermo illegalmente per aver “attaccato briga e provocato scompigli”.
Il dibattito pubblico su Tienanmen non è mai stato tollerato, ma adesso anche le commemorazioni private sono illegali. Cinque anni fa, ho conosciuto l’artista Chen Guang nel suo appartamento di Pechino, e lui mi ha raccontato del trauma che ebbe nel 1989 quando era un giovane soldato dell’esercito popolare di liberazione e alla sua unità fu ordinato di cacciare gli studenti dalla piazza con fucili d’assalto e baionette, e poi di bruciare le tende, i giornali, i vestiti e gli striscioni appiattiti dai carri armati.
Prima del ventesimo anniversario del massacro, gli era consentito di esibire sul proprio sito internet – per quei pochi giorni prima che la censura glielo chiudesse – dipinti ispirati alle fotografie che lui stesso aveva scattato ai soldati e ai carri armati nella piazza.
Quest’anno non è stato così fortunato. Il 29 aprile, di fronte a pochi amici nel villaggio degli artisti di Songzhuang, ha indossato una maschera e ha scagliato della calce bianca sulle date 1989 e 2014 dipinte su un muro di mattoni. Una settimana dopo è stato detenuto.
Tre anni fa, l’artista Hua Yong si è recato a piazza Tienanmen, e dopo essersi dato un pugno sul naso, con il suo sangue ha scritto sul pavimento i numeri sei e quattro, la forma abbreviata comune per indicare il 4 giugno. Dei poliziotti in borghese lo hanno portato via immediatamente.
Due anni fa, Hua Yong è ritornato nella piazza, e dopo essersi procurato un taglio sul dito, con il suo sangue ha scritto sulla propria fronte i numeri sei e quattro. È stato arrestato e poi deportato in un campo di lavoro per 15 mesi.
Questi attivisti, avvocati, giornalisti e artisti che lavorano nel campo dei diritti civili rappresentano la migliore eredità e i veri vincitori del Movimento di piazza Tienanmen. Anche se loro costituiscono soltanto una piccola minoranza in un Paese composto da un miliardo e 300 milioni di persone, allo stesso tempo ne sono la più grande speranza.
Combattendo pacificamente per i diritti costituzionali e rifiutandosi di dimenticare le tragedie del passato, indicano la strada verso un futuro migliore. Il loro coraggio sta lentamente scuotendo i giovani cinesi dalla loro apatia verso i temi politici. Dopo che Pu Zhiqiang è stato arrestato, il web cinese è stato inondato di messaggi in codice di sostegno.
Il mio ricordo più vivido dei giorni di Tienanmen è legato a un pomeriggio di fine maggio, quando mi trovavo in cima al Monumento agli Eroi del Popolo e guardavo verso il basso una folla composta da più di un milione di persone riunitesi nella piazza. Ogni volto era raggiante di speranza e di gioia.
La folla colorata della gente appariva tranquilla quanto una distesa di fiori selvatici. Si respirava un’aria ricca di euforia: dopo anni di tirannia, il popolo cinese aveva trovato il coraggio di prendere il pieno controllo delle proprie vite e di tentare di cambiare il destino della propria nazione.
Ogni persona presente in quella folla, sia chi perse la vita sia i sopravvissuti, fu vittima del massacro del 4 giugno: i loro ideali furono mandati in frantumi e le loro anime furono segnate dalla paura.
Tienanmen ha rappresentato un momento cruciale per la mia generazione. E recentemente ha cambiato la mia vita ancora una volta: da quando l’edizione cinese della mio romanzo su Tienanmen, Beijing Coma, è stato pubblicato a Taiwan tre anni fa, le autorità mi hanno proibito di ritornare nel mio Paese.
Il 3 giugno di quest’anno, parteciperò a un seminario su Tienanmen che si terrà in Svezia e aggiungerò una sedia vuota nella sala per sottolineare che su di essa avrebbe dovuto sedere la giornalista Gao Yu. Il 4 giugno, una volta ritornato a Londra, telefonerò al mio amico, l’economista Zhou Duo, che come di consuetudine rimarcherà la ricorrenza di quel giorno con uno scioperò della fame in forma privata nella sua casa di Pechino.
Io accenderò delle candele in onore di quelli che morirono nel massacro e dei dissidenti cinesi che sono in carcere o agli arresti domiciliari. Ripenserò alla grande e giubilante folla che riempiva la pizza nel 1989 e ricorderò a me stesso che i valori che essa abbracciò sono universali, e più potenti della tirannia che ancora cerca di sopprimerli.
Dopo di ciò mi augurerò che prima di altri 25 anni, il mausoleo e il ritratto dell’assassino di massa Mao saranno stati rimossi per sempre da piazza Tienanmen e sostituiti da un Monumento agli Eroi del 1989, e che i cinesi saranno liberi di riunirsi lì, darsi pugni nel naso se lo desiderano, piangere tutte le vittime delle tragedie del passato, discutere della libertà e della democrazia, e cantare i loro inni alla gioia.
L’articolo è stato originariamente pubblicato qui, il 4 giugno 2014. Traduzione a cura di Andrea De Pascale
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