Amref è la più grande organizzazione sanitaria no-profit presente in Africa, ma l’amministratore delegato Githinji Gitahi, che ho incontrato durante la sua visita alla sede di Roma, preferisce definirla un’associazione che porta soluzioni nei Paesi dove è più carente il sistema sanitario.
Con 172 progetti attivi nel 2014 in 26 stati africani, dal 1957 Amref aiuta soprattutto donne e bambini, le due categorie più colpite dalle condizioni di disagio sanitario portate dalla povertà. “Insegnare ai bambini nelle scuole cosa significa l’igiene aiuta a portare le informazioni all’interno dei villaggi”, mi ha spiegato Gitahi, che è direttore dal primo giugno del 2015.
Ogni anno migliaia di minori muoiono a causa di infezioni che in occidente sarebbero facilmente curabili – ancora oggi 6 milioni di bambini in tutto il mondo non arrivano al compimento dei sei anni – e un numero enorme di donne perde la vita in seguito a emorragie provocate dal parto.
L’organizzazione no-profit sta combattendo questo stato di cose soprattutto diffondendo vaccini gratuiti: in nove nazioni africane su dieci, i governi contribuiscono a rendere possibile la diffusione dei vaccini per il 90 per cento dei bambini. “Bisogna costruire un sistema di fiducia prima di costruire ospedali”, chiarisce l’ad di Amref.
L’associazione umanitaria lo fa assumendo quasi interamente personale del luogo, perché nei piccoli villaggi i pazienti non si fidano di riporre la propria salute nelle mani di estranei che hanno tradizioni differenti dalla loro. Uno dei principali scogli per la diffusione delle cure è costituito dalla riluttanza stessa dei malati.
Questo fenomeno si è verificato in misura massiccia durante l’epidemia di ebola, che ha ucciso circa 8mila persone nel continente africano. Il contagio, che si è diffuso a partire da un virus trasmesso dai pipistrelli giganti del Congo, portatori sani della malattia, si è radicato endemicamente nei villaggi dell’Africa nordoccidentale soprattutto per la mancanza di misure di prevenzione.
Cibi non cotti e assenza di acqua sono state le principali cause di diffusione del virus. “Il sistema ospedaliero è collassato perché i malati erano troppi rispetto al numero di posti letto disponibili nelle strutture. Tutti gli altri programmi, a partire da quello educativo, sono stati congelati per un lungo periodo perché non c’era la possibilità di far fronte all’emergenza occupandosi anche del resto”, racconta Gitahi.
(Qui sopra, nella foto: l’amministratore delegato di Amref Githinji Gitahi. Credit: Amref)
Le altre principali difficoltà che hanno messo e tuttora mettono a dura prova il lavoro di Amref sono costituite dai gruppi estremisti come Boko Haram, in Nigeria, e Al-Shaabab, in Somalia e Kenya.
In quelle zone, i dottori se ne sono andati e gli abitanti dei villaggi sono rimasti isolati dal resto dei territori, in una situazione in cui anche per Amref risulta molto difficile portare i servizi sanitari e sociali.
“Lì ora non può essere nemmeno garantito il diritto alla cura”, sostiene l’amministratore delegato. “Le vite del nostro personale medico verrebbero messe a repentaglio, se fosse inviato in quei territori”.
Mentre l’Europa deve affrontare il problema della migrazione di migliaia di persone a causa di dittature, guerre e povertà, Amref si occupa soprattutto degli spostamenti interna all’Africa stessa.
“La gente si sente costretta ad andarsene dalle proprie case per mancanza di diritti e per ragioni economiche. Noi cerchiamo di dar loro la possibilità di rimanere nei propri territori di provenienza, portando i servizi necessari a creare un equilibrio nella situazione”.
L’amministratore delegato spiega che questo può essere reso possibile collaborando coi governi locali. L’organizzazione no profit si è guadagnata la fiducia dei governi degli stati in cui sono attivi i suoi programmi, collaborando anche con piani d’azione organizzati da altri a livelli strettamente locali.
Per quanto riguarda la migrazione internazionale, Gitahi suggerisce all’Unione europea di garantire a coloro che arrivano nell’eurozona la possibilità di usufruire del sistema sanitario dei Paesi di arrivo, per evitare che si diffondono malattie contratte durante il viaggio e soprattutto a causa della scarsa igiene dei luoghi in cui i migranti vengono accolti in Europa.
(Qui sopra, nella foto: un medico Amref con un giovane paziente. Credit: Amref)