Intorno alle 23 di martedì 23 febbraio, l’aereo militare con salme di Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, e di Vittorio Iacovacci, carabiniere di scorta, uccisi in un attacco armato a un convoglio del WFP dell’Onu sulla strada tra Goma a Rutshuru, nell’est del Paese africano, ha fatto rientro a Ciampino. Sull’aereo viaggiavano anche la moglie e le tre figlie dell’ambasciatore, che con lui vivevano a Kinshasa, e alcuni dei congiunti del carabiniere, che erano partiti appositamente da Sonnino (Latina) per assolvere a questo compito doloroso.
Ad accogliere sulla pista i due feretri un picchetto militare interforze, composto anche da carabinieri del 13^ reggimento Friuli Venezia Giulia, che fa parte della seconda Brigata mobile dell’Arma, di cui Iacovacci era componente. Presenti ai bordi della pista il presidente del Consiglio Mario Draghi, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, oltre al comandante generale dell’Arma dei carabinieri e ai comandanti delle altre forze armate.
Sull’attacco che ha coinvolto l’ambasciatore e gli altri componenti del convoglio le certezze sono ancora decisamente poche, una prima ipotesi, che è poi quella formulata dalla Procura di Roma, sembra prendere forma: il convoglio delle Nazioni Unite era stato venduto a una delle 120 milizie in armi.
Luca Attanasio temeva per la sua incolumità? Sembrerebbe di sì. A dirlo è un articolo esclusivo pubblicato dall’Espresso, secondo cui l’ambasciatore attendeva a breve la consegna di un’auto blindata che lui stesso aveva acquistato a inizio anno. Lo scorso 8 gennaio Attanasio aveva firmato la determina che concludeva l’iter di una gara di appalto per acquistare un mezzo blindato Vrs6 da sette posti a sedere: la gara era stata vinta da una ditta brianzola al costo di 205 mila euro. A metà febbraio erano scaduti i 35 giorni per presentare eventuali ricorsi alla gara e a breve l’auto blindata sarebbe stata consegnata.
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