È la domanda che, da mesi, tutti si pongono: le sanzioni alla Russia funzionano? Tutto dipende, come sempre, dagli obiettivi che la politica si pone: far cadere Putin? Costringerlo a negoziare la pace? Impedirgli di cancellare dalle mappe l’Ucraina? Quale che sia la risposta, l’unica certezza è nei numeri. Le misure adottate dall’Occidente contro il Cremlino dopo l’invasione hanno certamente avuto un effetto sull’economia russa, ma potrebbe non essere quello voluto.
Il Fmi ha dovuto ripetutamente rivedere le proprie previsioni per l’economia russa nel 2022, che alla fine calerà molto meno di quanto inizialmente stimato. Ad aprile, l’organizzazione guidata da Kristalina Georgieva prevedeva un calo dell’8,5% del Pil della Russia, una stima rivista a -3,4% a ottobre. Non solo: da marzo, come mostra un’analisi del The Observatory of Economic Complexity per il New York Times, il valore dell’export russo è addirittura cresciuto, anche in Paesi che hanno assunto un ruolo attivo nell’opporsi a Putin.
Questo dipende soprattutto dalla struttura delle esportazioni russe, da sempre rivolte al settore minerario. Mosca rimane infatti uno dei più importanti produttori mondiali di petrolio, gas e altre materie prime. Negli ultimi nove mesi, molti Paesi hanno trovato incredibilmente difficile vivere senza i prodotti importati dalla Russia e, al contempo, i prezzi elevati sul mercato energetico hanno compensato le entrate perse dal Cremlino a causa delle sanzioni. Se gli Usa non acquistano più petrolio russo, anche la dipendenza dell’Europa dal gas di Putin è in calo. Eppure, proprio a causa dell’interdipendenza con Mosca e dell’elevata inflazione, Bruxelles si è mossa molto più lentamente di Washington.
L’Ue ha smesso per esempio di importare carbone dalla Russia soltanto ad agosto. Il bando all’importazione di petrolio russo via mare comincerà invece solo a dicembre, mentre il divieto di importare ogni genere di prodotto petrolifero da Mosca inizierà a febbraio 2023. Malgrado tutto, secondo un’analisi della società Kpler, a settembre il 29% delle esportazioni russe di petrolio erano ancora dirette verso Paesi dell’Ue, una cifra in forte calo rispetto al 55% del 2019 ma ancora rilevante per le casse di Mosca, soprattutto ai prezzi attuali. Ma il Cremlino non ha solo gli idrocarburi su cui fare leva.
La Russia continua infatti a essere uno dei principali esportatori di altre materie prime essenziali, dai fertilizzanti ai prodotti agricoli, ai diamanti fino ai metalli rari. Le case automobilistiche internazionali dipendono dalla Russia per produrre i convertitori catalitici, realizzati anche con il palladio, di cui il Paese è responsabile del 40% della produzione mondiale. Mosca esporta anche il 60% dell’amianto prodotto a livello globale e ancora utilizzato in molti Paesi (bandito solo nell’Ue e in Australia). Le centrali nucleari francesi poi non possono ancora fare a meno dell’uranio russo, mentre il Belgio non rinuncia al commercio di diamanti con il Cremlino.
Gli otto pacchetti di sanzioni approvati dall’Ue dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina hanno infatti colpito oltre 1.200 persone fisiche, più di 150 aziende, vietato il commercio di quasi un migliaio di prodotti russi e tagliato di un terzo l’export e di due terzi l’import da Mosca. Eppure prevedono ancora molte esenzioni, che favoriscono Mosca e non solo.
Non sorprende se da marzo l’interscambio tra Russia e Cina è arrivato a 15 miliardi di dollari, segnando un +64% rispetto a febbraio. Le sole importazioni cinesi da Mosca sono cresciute del 98%. Anche Turchia e India hanno approfittato della situazione: l’import di Ankara dalla Russia dall’inizio della guerra è aumentato del 213% portando il commercio con Mosca a superare i 6,2 miliardi di dollari.
Cifre più contenute in termini assoluti per Delhi, il cui interscambio con la Russia non supera i 3,3 miliardi di dollari, ma ben più sorprendenti se guardiamo alle percentuali. Le importazioni indiane da Mosca sono infatti cresciute del 430% rispetto a prima della guerra. Tutto questo però riguarda anche Paesi che si sono schierati al fianco dell’Ucraina, in primis la Germania.
Se il commercio totale tra Berlino e Mosca è calato del 3% dall’inizio dell’invasione, attestandosi a 4,8 miliardi di dollari, le importazioni tedesche dalla Russia nello stesso periodo sono cresciute del 38%. Ancora meglio hanno fatto i Paesi Bassi, il cui import dalla Russia è aumentato del 74% da marzo, portando l’interscambio totale a 2 miliardi di dollari, in crescita del 32% dall’invasione. E il vicino Belgio non è da meno: anche qui le importazioni da Mosca hanno segnato un incremento del 130% da marzo, portando a 1,4 miliardi di dollari gli scambi totali (+81% dall’invasione). Percentuali simili per la Spagna, il cui import dalla Russia è aumentato del 112% dall’inizio della guerra, accrescendo l’interscambio totale del 57% fino a 739 milioni di dollari. A questo punto la domanda non è se le sanzioni funzionano, ma per chi.