Libia, al-Serraj: “Abbiamo chiesto armi all’Italia ma da Roma nessuna risposta”
Fayez al-Serraj, presidente del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, ha deciso di aprire all’intervento militare esterno per battere il nemico Khalifa Haftar. In cinque lettere, destinate ad altrettanti “Paesi amici” – Usa, Gran Bretagna, Algeria, Turchia e Italia –, il leader ha chiesto “ogni possibile aiuto” per fermare il generale ribelle, ormai alle porte di Tripoli.
“Attivate gli accordi di cooperazione in materia di sicurezza per respingere l’aggressione di gruppi armati che operano al di fuori della legittimità”, chiede Sarraj.
Ma la richiesta non è andata a buon fine: questo è quanto emerge dalle parole rilasciate al Corriere dal presidente del Governo di accord nazionale di Tripoli, Fayez al-Serraj, con le quali spiega di aver fatto appello a ben 5 paesi per combattere il generale Haftar, inclusa l’Italia, ma di non aver avuto risposta positiva.
“Noi avevamo chiesto le armi a tanti Paesi, inclusa l’Italia, che pure ha diritto di scegliere la politica che più le aggrada e con cui i rapporti restano comunque ottimi. Da Roma, in verità, non sono mai giunte risposte ufficiali. Con Di Maio abbiamo avuto un ricco scambio d’opinioni. Quanto invece alla sua tappa a Bengasi dal nostro aggressore e Tobruk non ho visto alcuna sostanza, oltre a generiche dichiarazioni di amicizia che lasciano il tempo che trovano”, si legge sul Corriere.
In questo modo, al-Serraj giustifica la collaborazione militare con la Turchia.
Quest’ultimo si era rivolto alle nazioni che, nel 2016, hanno sostenuto l’offensiva anti-jihadista su Sirte e che sono considerate “più vicine”: scontata, dunque, l’esclusione della Francia, ritenuta filo-Haftar. In realtà, però, la priorità per il presidente è Ankara. Non a caso, le lettere sono state scritte al termine della riunione in cui i vertici libici hanno attivato il protocollo di collaborazione con la Turchia, siglato il 27 novembre.
L’incontro con il ministro degli Esteri Luigi di Maio non è bastato al premier di Tripoli che per ora boccia le missione diplomatica della scorsa settimana.
Di Maio, si ricorda, si era recato anche a Bengasi dove aveva incontrato il generale Khalifa Haftar.
“Di Maio non è riuscito a bloccare l’aggressione militare contro di noi. Questa sarebbe stata l’unica prova di un successo ai colloqui di Bengasi”, spiega. “Ciò non toglie – aggiunge – che l’Italia abbia tutto il diritto di comunicare con chiunque e invitarlo a Roma”.
Nel frattempo, il 2019 chiude il primo sanguinoso anno di conflitto interno al Paese.
Nel 2019 almeno 284 civili sono morti in Libia e altri 363 sono rimasti feriti a seguito del conflitto armato, con un aumento di oltre un quarto del numero di vittime registrato nello stesso periodo dell’anno scorso.
È l’allarme lanciato dall’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani. “Siamo preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia, compreso l’impatto del conflitto in corso sui civili, attacchi contro difensori dei diritti umani e giornalisti, trattamento di migranti e rifugiati, condizioni di detenzione e impunità”, si legge in una nota pubblicata dal portavoce Rupert Colville.