L’ultima volta che aiuti umanitari turchi hanno provato a raggiungere Gaza, nel 2010, dieci attivisti avevano perso la vita. Si trovavano a bordo della Mavi Marmara, parte della Gaza Freedom Flotilla, che era stata assaltata dalle forze armate israeliane che intendevano bloccarli a qualunque costo. L’incidente causò una rottura difficile da sanare tra Ankara e Tel Aviv, ma nel corso degli ultimi mesi qualcosa è cambiato e il 27 giugno Turchia e Israele hanno firmato un accordo per la normalizzazione dei loro rapporti.
Questo accordo consente alla Turchia di mandare aiuti a Gaza e di realizzare progetti infrastrutturali nella striscia. Così, domenica 3 luglio 2016, la nave Lady Leyla, battente bandiera panamense e con a bordo 11mila tonnellate di derrate alimentari, abiti e giochi provenienti dalla Turchia, è approdata al porto israeliano di Ashdod.
Da lì, gli aiuti verranno trasportati via terra verso Gaza dove dovrebbero arrivare in tempo per i festeggiamenti che segnano la fine del mese sacro di Ramadan, l’Eid al-Fitr, che si celebra il 5 luglio.
Il primo ministro turco Binali Yildirim ha riferito che Israele ha accettato di pagare circa 18 milioni di euro come risarcimento per l’uccisione dei dieci cittadini turchi, e le relazioni sembrano destinate a ricomporsi davvero, se non altro perché gli interessi strategici ed economici di Ankara e Tel Aviv in questo momento coincidono.
Tuttavia – e malgrado le Nazioni Unite abbiano più volte levato critiche in merito –, Israele non intende mettere fine al blocco di Gaza perché lo ritiene necessario a evitare che Hamas riceva materiale militare.
Hamas controlla la striscia da ormai dieci anni, da quando ha vinto le elezioni ed espulso la rivale Fatah, sfuggendo di fatto all’Autorità Palestinese.