L’artista e dissidente cinese Ai Weiwei ha deciso di interrompere la sua mostra in corso in Danimarca per manifestare il suo dissenso contro la legge approvata ieri dal parlamento danese sulla confisca dei beni ai migranti. A Copenhagen, alla Faurschou Foundation era in corso un’esposizione, “Raptures”, inaugurata nel marzo 2015 e che sarebbe dovuta rimanere aperta fino all’aprile 2016, ma che invece chiuderà i battenti in anticipo. Anche il direttore della galleria d’arte, Jens Faurschou, dal sito della fondazione, sostiene la decisione dell’artista e si rammarica che il parlamento danese non abbia scelto di essere in prima linea in Europa per risolvere la crisi umanitaria in corso e abbia deciso invece di percorrere una linea politica disumana.
“Quando mi sono svegliato oggi non mi aspettavo di ottenere quella chiamata”, ha raccontato Jens Faurschou al Guardian, “Ma non sono stato sorpreso dalla sua reazione. Mi ha chiamato da una spiaggia di Lesbo, dove sta girando un documentario sui profughi in arrivo dal Medio Oriente”, ha continuato il direttore, spiegando di non aver provato a dissuaderlo. Sulla stessa isola di Lesbo, in Grecia, l’artista ha in progetto di costruire un memoriale per i profughi annegati nel tentativo di raggiungere l’Europa.
La legge approvata il 26 gennaio in parlamento, con il voto di quasi tutti i partiti, anche quello socialdemocratico, ha provocato l’indignazione internazionale. Tante sono le critiche arrivate al governo danese per la norma, considerata pericolosa e contraria ai più basilari diritti umani. Il gesto simbolico di Ai Weiwei vuole innescare un dibattito sul tema. “Sta diventando un europeo, partecipa a quello che succede qui. Lo ha fatto in Cina. La gente diceva che non avrebbe avuto alcuna influenza, ma da quando si è battuto contro lo scandalo del terremoto del 2008, la Cina ha iniziato a fare qualcosa per la lotta alla corruzione. Ha una voce e la usa, lo ammiro per questo”, ha spiegato ancora Faurschou.
Ai Weiwei è l’artista più importante cinese, ma è spesso nel mirino delle autorità del suo paese. Nel 2011 è stato in carcere per 81 giorni a causa del suo ruolo di primo piano nella difesa della democrazia e dei diritti umani, e delle critiche contro il governo di Pechino. Dopo la detenzione, è stato posto agli arresti domiciliari e gli è stato ritirato passaporto.