Resta alta la tensione in Venezuela tra le forze e la piazza ancora fedeli al presidente Maduro e l’opposizione sostenuta dalla comunità internazionale e dalle proteste di strada.
Mentre un gruppo di militari ha tentato di rovesciare il governo, vanno avanti le manifestazioni pro e contro la nuova assemblea costituente, che nella giornata di sabato ha destituito la procuratrice generale del paese, ostile alla riforma voluta dal presidente, scatenando le proteste internazionali.
Un gruppo di hacker ha quindi violato il sistema di sicurezza di alcuni siti web del governo venezuelano in un’operazione che mirava, secondo gli autori dell’attacco, a colpire la “dittatura” del presidente Maduro.
Tra i siti violati ci sono quello del governo venezuelano, quello della Commissione elettorale nazionale e quello della marina militare. Gli hacker hanno lasciato un messaggio sui siti presi di mira. “Questa dittatura ha i giorni contati”, si poteva infatti leggere sulla homepage del sito del governo.
Denominato “Guardiani Binari”, il gruppo ha inviato alcuni messaggi a sostegno delle azioni dei militari che nella giornata di domenica avevano assaltato una base della Guardia Nazionale Bolivariana nella città di Valencia, al centro del paese.
I responsabili dell’attacco informatico infatti hanno anche fatto riferimento all’operazione David, quello che, secondo i media del paese, sarebbe stato il nome in codice della rivolta andata in scena domenica 6 agosto.
Nell’azione uno dei ribelli era morto e un altro uomo era rimasto gravemente ferito. Nella stessa serata era poi stato ucciso anche Ramon Rivas, leader del partito di opposizione Avanzada Progresista, colpito da un proiettila a Valencia, durante una manifestazione a sostegno dei militari ribellatisi al governo.
“Una settimana fa abbiamo vinto con i voti, oggi è stato necessario vincere il terrorismo con le pallottole” era stato il commento del presidente Nicolas Maduro.
Nel frattempo, i sostenitori del governo hanno manifestato nella capitale Caracas, chiedendo la fine di mesi di proteste da parte dell’opposizione, che fino ad ora hanno causato oltre 130 vittime.
La procuratrice generale del Venezuela è stata rimossa dal suo incarico
Non resta difficile solo la situazione interna nel paese, ma le azioni di Maduro e le proteste di strada stanno influenzando anche i rapporti internazionali del governo di Caracas.
La destituzione della procuratrice generale venezuelana, Luisa Ortega Dìaz, da parte della nuova assemblea costituente infatti non ha mancato di suscitare le reazioni di altri paesi sud americani.
I responsabili delle procure nazionali di Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Cile e Perù hanno infatti firmato una dichiarazione in cui criticano la destituzione della loro collega, definendola illegale e non riconoscendo il suo successore designato dalla nuova assemblea costituente venezuelana.
“Gli stati devono garantire che i magistrati delle Procure possano svolgere le loro funzioni senza intimidazioni, ostacoli, coazioni, interferenze abusive o esposizione ingiustificate alla responsabilità civile, penale o di qualsiasi altra natura”, si può leggere nella dichiarazione.
Anche l’Unione europea ha condannato la mossa dell’assemblea costituente venezuelana. “L’inaugurazione dell’assemblea costituente e le sue prime azioni, compresa la rimozione di Luisa Ortega dalla carica di procuratore generale hanno ulteriormente indebolito le prospettive di un pacifico ritorno all’ordine democratico in Venezuela”, ha commentato a riguardo Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione.
Sabato 5 agosto Ortega Dìaz era stata esautorata e successivamente sostituita da Tarek Saab, poeta, difensore civico e membro del partito fondato dall’ex presidente Hugo Chavez.
La procuratrice indagava sulle accuse di brogli pervenute al suo ufficio proprio riguardo le elezioni della costituente. Ortega Dìaz aveva fatto anche richiesta alla Corte Suprema di bloccare l’insediamento della nuova assemblea, ma il tribunale aveva negato questa possibilità.
La procuratrice era stata molto vicina alle posizioni politiche dell’ex presidente Hugo Chavez, ma non aveva condiviso la riforma voluta dal suo successore Maduro. Così, negli ultimi mesi, Ortega Dìaz è diventata una delle voci critiche più importanti di Nicolás Maduro, avversandone la recente riforma costituzionale.
Maduro aveva accusato invece la procuratrice di essere complice dell’insurrezione armata in corso nel paese da quando è iniziata l’ondata di proteste contro il suo governo all’inizio di aprile.
I paesi vicini del Venezuela sono impegnati da mesi a fare pressioni sul governo di Nicholas Maduro perché ripristini la democrazia nel paese. Il Mercosur, l’organizzazione commerciale sud-americana, ha già sospeso Caracas a tempo indeterminato.
Inoltre, nella giornata dell’8 agosto, i ministri degli Esteri di Argentina, Barbados, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Giamaica, Messico, Panama e Santa Lucia si riuniranno a Lima, in Perù, per discutere della crisi in corso in Venezuela.
La crisi venezuelana va avanti da oltre un anno e ha cause soprattutto economiche: nel 2016 tre quarti dei supermercati del paese sono rimasti vuoti lasciando la popolazione senza cibo per diversi giorni.
Maduro guida il paese dal 2013 dopo essere stato designato direttamente dal suo predecessore, Hugo Chavez, prima di morire. La contrapposizione all’interno del Venezuela è cresciuta soprattutto dopo la decisione della Corte suprema del 29 marzo di esautorare il parlamento dei suoi poteri, facendo crescere la preoccupazione di un aumento dei poteri del presidente.
L’opposizione continua a chiedere la rimozione dalla corte dei giudici responsabili della decisione del 29 marzo e la convocazione delle elezioni generali entro il 2017.
Il presidente è accusato di limitare la democrazia nel paese sudamericano e di aver peggiorato le condizioni di vita dei cittadini, sopprimendo spesso con la violenza le manifestazioni degli oppositori.
Inoltre, viene sollecitata la creazione di un canale umanitario che permetta di far arrivare i medicinali che al momento scarseggiano in Venezuela e il rilascio dei prigionieri politici.
Il 16 luglio l’opposizione convocò anche un referendum contro Maduro a cui presero parte oltre 7 milioni di persone. La consultazione non aveva alcun valore legale, ma ha avuto un grande significato simbolico in un paese attraversato da proteste e violenze quotidiane.
Leggi l'articolo originale su TPI.it