“Devo emigrare da questa città: siamo bombardati dall’aria, i talebani combattono sul campo. La situazione è pessima”. Intervistato da Radio Azadi, Bahauddin Khan è una delle migliaia di residenti a Lashkar Gah, capoluogo della provincia di Helmand, nel sud dell’Afghanistan, dove migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case per l’avanzata dei talebani e la disperata controffensiva in corso da parte dell’esercito afghano con l’aiuto aereo degli Stati Uniti.
I combattimenti in città sono arrivati al settimo giorno e, secondo le Nazioni Unite, hanno già provocato almeno 40 vittime e 120 feriti tra i civili. Gli scontri a Lashkar Gah sono lo specchio di quanto sta accadendo in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe occidentali, incapaci di stabilizzare il Paese dopo 20 anni di guerra, con i talebani che ormai controllano la maggior parte dei distretti afghani e minacciano le importanti province di Helmand, Herat e Jowzjan.
MG Sadat’s message to the #Lashkargh people.
If 1 terrorist came 1 will be dead, if 1000 came 1000 will be. #Helmand #LashkargahIsTalibansShambles pic.twitter.com/RPAMRzuzbN
— Maiwand 215th Corps (@215Corps) August 2, 2021
In questa situazione, il generale Sami Sadat, comandante dei 215 Maiwand Corps dell’esercito afghano, ha esortato la popolazione locale a evacuare Lashkar Gah, mentre le Afghan National Security Forces (ANSF) preparano una serie di “operazioni su vasta scala” per respingere i talebani.
“In questo momento gli aerei stanno bombardando la provincia di Helmand, nessuno può lasciare le proprie case”, ha denunciato un altro residente di Lashkar Gah, Haji Mirwais, all’emittente radiofonica secondo cui, con l’intensificarsi dei combattimenti nei sobborghi della città, i raid aerei si sono intensificati.
Come riporta l’agenzia di stampa Associated Press, gli attacchi aerei dell’aviazione afghana nell’area sono stati effettuati con il “sostegno degli Stati Uniti“. In merito non sono disponibili ulteriori informazioni, però è ormai chiaro che gli scontri non accenneranno a diminuire visto che i talebani controllano nove su dieci distretti di Lashkar Gah, dove la situazione è sempre più difficile, soprattutto per i civili.
“I talebani non avranno pietà di noi e il governo non fermerà i bombardamenti”, ha dichiarato disperato alla BBC un residente in città. “Ci sono cadaveri per le strade: non sappiamo se siano civili o talebani. Decine di famiglie sono fuggite dalle proprie case e si sono stabilite vicino al fiume Helmand“.
“La situazione è peggiorata e i combattimenti continuano”, ha ammesso ieri all’agenzia di stampa afghana Tolo News il deputato al parlamento provinciale del Helmand, Karim Atal. “I talebani si nascondono nelle case degli abitanti della città e il numero di vittime civili è elevato”.
Le autorità locali non hanno ancora diramato alcun bilancio ufficiale dei morti negli scontri in corso a Lashkar Gah, ma da più parti arrivano denunce di un inasprimento della violenza, anche contro i civili. “Spari, attacchi aerei e colpi di mortaio sono incessanti e colpiscono aree densamente popolate”, ha denunciato negli scorsi giorni Sarah Leahy, coordinatrice del progetto Helmand di Medici senza frontiere. “Le case vengono bombardate e molte persone subiscono gravi ferite”.
Secondo l’operatrice umanitaria, ormai uscire di casa a Lashkar Gah “è semplicemente troppo pericoloso”. “Alcuni dei nostri colleghi pernottano in ospedale perché è più sicuro, ma anche per continuare a curare i pazienti: i combattimenti all’interno della città rendono più difficile per noi intervenire ma il nostro personale fa parte della comunità e, come molte persone, ha paura a uscire di casa”.
L’ospedale Boost (storico nome della città) ha curato 70 feriti solo tra il 29 e il 31 luglio 2021. “La situazione è stata disastrosa per mesi, ma ora è anche peggio”, ha sottolineato Leahy. “In un solo giorno abbiamo eseguito 10 interventi chirurgici su persone ferite negli scontri: una cosa inaudita. Prima della scorsa settimana operavamo in media due feriti al giorno”.
Tra le vittime anche l’informazione. Secondo il governo afgano, soltanto nelle ultime settimane almeno 16 testate editoriali, comprese quattro reti televisive, hanno interrotto le proprie attività a causa di un aumento della violenza nel Helmand. “Finora, 35 media hanno sospeso le trasmissioni e almeno sei testate sono cadute nelle mani dei talebani e ora vengono utilizzate come voce per le loro attività”, ha spiegato nelle scorse ore il ministro afgano dell’Informazione e della Cultura, Qasim Wafaeezada.
Uno scenario da incubo. “I negozi sono in fiamme: le vittime civili sono tante e gli attacchi aerei sempre in corso”, ha raccontato all’agenzia di stampa afghana Tolo News Jawid Ahmad, un residente di Lashkar Gah fuggito ieri dalla città per rifugiarsi nella capitale Kabul.
Tutto questo rischia di ripetersi anche a Kandahar, ex roccaforte dei talebani nel sud del Paese, e a Herat, nell’ovest, dove erano di stanza i militari italiani, due città sempre più vicine a essere strette in una morsa d’assedio come il capoluogo di Helmand. Come mostra la mappa elaborata da The Long War Journal, l’avanzata degli “studenti delle scuole coraniche”in Afghanistan non accenna infatti ad arrestarsi: i talebani sono arrivati a controllare ben 223 su 407 distretti del Paese asiatico, oltre il 54 per cento del territorio nazionale, e quasi tutti i valichi di confine.
Il governo di Kabul, sostenuto da Stati Uniti e Paesi europei, mantiene per lo più il controllo delle grandi città e di larghe porzioni della vasta area vicina alla capitale. Ma ora rischia di perdere anche questo, il che costituisce un pericolo soprattutto per i civili, alla mercé delle vendette dei talebani dopo 20 anni conflitto.
Se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Unicef hanno espresso “profonda preoccupazione” per il crescente numero di “gravi violazioni dei diritti umani segnalate” in Afghanistan, dove persino un bambino di 12 anni (nella provincia di Faryab) può essere brutalmente fustigato per ordine dei talebani, l’avanzata dei ribelli è seguita da indicibili violenze, almeno secondo un recente rapporto di Human Rights Watch.
Durante la loro marcia su Ghazni, Kandahar e altre province del Paese, i cosiddetti studenti coranici avrebbero giustiziato sommariamente soldati, agenti di polizia e civili fermati per presunti legami con il governo di Kabul. Secondo Hrw, tra il 16 luglio e il 2 agosto 2021, 44 uomini scomparsi nell’area di Spin Boldak, a Kandahar, potrebbero essere stato trucidati dai talebani, che si sarebbero resi responsabili anche dell’omicidio di 19 membri delle forze di sicurezza in loro custodia nel distretto del Malistan.
Ma neanche la capitale è al sicuro dalla violenza (non lo è mai stata davvero in tanti anni di guerra). Almeno otto persone, tra cui una donna, sono rimaste uccise e più di una ventina sono state ferite ieri sera a Kabul a seguito dell’esplosione di un’autobomba piazzata nei pressi della residenza del ministro della Difesa ad interim, il generale Bismillah Mohammadi, rimasto illeso.
All’attentato, rivendicato dai talebani, è seguita l’irruzione di un gruppo compreso tra i quattro e i sette uomini armati in un’abitazione vicina, di proprietà di Mohammad Azim Mohseni, un deputato della provincia di Baghlan, che in quel momento non si trovava in casa. A questo è seguito un pesante scontro a fuoco con le guardie private del complesso, concluso con l’arrivo delle forze di sicurezza afghane e la morte di una guardia giurata.
L’aumento della violenza in Afghanistan ha sollevato le proteste internazionali, ma di fatto non sembra esserci alcuna via d’uscita dalla crisi. La telefonata intercorsa ieri tra il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il presidente afgano Ashraf Ghani non ha prodotto novità sul fronte dei colloqui di pace in corso a Doha, in Qatar.
L’unica soluzione possibile, secondo il diplomatico statunitense di origine afghana Zalmay Khalilzad grande artefice dell’accordo del febbraio 2020 tra Washington e i talebani per il ritiro delle truppe americane dal Paese, è politica. La pace, ha dichiarato ieri l’inviato speciale degli Stati Uniti durante una conferenza online dell’Aspen Security Forum, può essere raggiunta solo attraverso un cessate il fuoco e negoziati che stabiliscano un governo di transizione.
Per Khalilzad però, le parti “sono molto distanti”. L’amministrazione Ghani vuole incentrare i colloqui di pace sul “portare i talebani nell’attuale compagine di governo”. I ribelli invece, secondo il diplomatico, sostengono che il governo di Kabul sia solo “il risultato dell’occupazione militare” e pretendono un esecutivo e una costituzione per gestire la transizione.
“Stanno cercando di influenzare la contesa politica con ciò che sta accadendo sul campo di battaglia”, ha rimarcato Khalilzad. “È una lotta per la distribuzione del potere tra varie fazioni, e nessun afghano, in particolare i civili, dovrebbe morire per questo”, ha concluso l’inviato degli Stati Uniti. Eppure in Afghanistan si continua a morire da 40 anni per i conflitti riversati sul Paese tra le varie potenze mondiali e regionali che infiammano gli scontri etnici e religiosi.