Isis e Al-qaeda non sono sparite dalla circolazione. I morti all’aeroporto di Kabul riportano drammaticamente sulla scena la prima delle due organizzazioni terroristiche con l’attentato kamikaze attribuito all’Isis-K (e rivendicato su un account Telegram riconducibile ai terroristi), la provincia afghana del Khorasan che si accredita proprio come membro dell’autoproclamato Stato Islamico fondato nel 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi nell’area compresa tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale.
Daesh torna alla ribalta e lo fa a modo suo: seminando sangue e morte proprio come negli attentati in Europa – Londra, Parigi e Barcellona – che scatenarono la violenta reazione dell’Occidente. Perse Raqqa e Mosul, costretta ad arretrare dietro l’avanzata dell’esercito regolare iracheno che pareva aver messo al tappeto il Califfato e i suoi combattenti, l’organizzazione terroristica salafita riconquista la scena internazionale in un drammatico risiko al massacro.
Come spiega il New York Times, Isis e Al-qaeda non sono state sconfitte, ma ad essere cambiato è il contesto: l’Afghanistan e non più l’Iraq post Saddam Hussein. Ma l’obiettivo è sempre la jihad, la guerra santa contro gli invasori Usa e i loro alleati, per costringerli alla ritirata dall’Oriente e fondare uno Stato islamico retto dalla sharia. E poco importa se di mezzo ci sono i massacri di yazidi, curdi, cristiani assiri e turcomanni sciiti, i civili inermi uccisi e sepolti in fosse comuni scoperte dall’Onu e le decapitazioni di giornalisti filmate in diretta web. Fa tutto parte della propaganda: ecco cosa tocca agli “infedeli” in una visione panislamica in cui sono molti i punti di contatto tra i progetti del risorto Califfato e dei fratelli talebani.
Si attende il ritorno in azione dell’altro co-protagonista del fondamentalismo islamico più oltranzista a suon di kalashnikov e attentati terroristici: Al Qaeda, che per anni ha potuto prosperare proprio grazie all’appoggio dei talebani, che hanno ospitato e protetto Osama bin Laden. Nella provincia afghana di Kandahar è nato il movimento degli studenti coranici pasthun e lì, tra montagne inaccessibili, lo sceicco saudita ha addestrato i suoi combattenti e pianificato gli attacchi dell’11 settembre 2001.
Dieci anni dopo, il 2 maggio 2011, in un blitz delle forze speciali Usa Osama Bin Laden veniva ucciso. A quel punto gli Stati Uniti avrebbero potuto andarsene dall’Afghanistan, consapevoli almeno di aver centrato uno dei due obiettivi militari, l’eliminazione del nemico numero “uno”. Invece sono rimasti per completare il lavoro – “estirpare Al Qaeda e fare il possibile per stabilizzare il Paese”. Ma hanno fallito.
Ad ammettere la presenza di gruppi terroristici è lo stesso portavoce del Pentagono John Kirby: “Sappiamo che al Qaeda e l’Isis sono ancora presenti in Afghanistan. Il numero non è esorbitantemente alto ma non abbiamo una cifra esatta perché la nostra capacità di raccolta di informazioni in Afghanistan non è più quella di una volta”.
Dopo anni di guerra costata soldi e vite umane nulla sembra cambiato. Sotto la guida di Ayman al Zawahiri Al Qaeda oggi è rinata con molti gruppi più o meno forti sparsi per l’Africa, nel Sahel, Mozambico, Mali, in Nigeria (Boko Haram) e Burkina-Faso ma anche Yemen. E l’Afghanistan è tornato nelle mani dei talebani che come Isis e Al Qaeda hanno un vero unico obiettivo: cacciare fino all’ultimo soldato occidentale dal suolo dell’Islam.
Leggi l'articolo originale su TPI.it