Esclusivo: “Io ex militare afghano vi racconto come sono fuggito in aereo da Kabul”
“Quando ho visto tutte quelle persone invadere l’aeroporto di Kabul mi sono spaventato anche io, avevo paura di quello che i talebani potevano fare. Ho pensato: se esco dall’aeroporto mi uccidono. Mi sono unito alla folla e ho corso. Sono salito su un aereo con altre 600 persone. Ora ho paura per la mia famiglia”.
Samin ha 27 anni e la notte del 15 agosto è fuggito dall’Afghanistan a bordo di un cargo militare Usa. Adesso si trova in un campo profughi allestito dai militari americani in Qatar. Nato a Kapisa, paese a un’ora e mezza dalla capitale, negli ultimi sette anni aveva collaborato con la Nato per conto del governo afghano: due anni di training come meteorologo e cinque di lavoro nella base militare statunitense, preparando i report per gli aerei. “È stato utile per me: ho imparato un lavoro”, racconta a TPI. Quel lavoro lo ha perso all’improvviso, con l’arrivo dei talebani a Kabul.
Mentre il gruppo jihadista riprendeva il controllo della capitale, Samin si trovava già all’Hamid Karzai International, dove era stato assunto da una delle compagnie aeree private del Paese, la Kamir Air, quando nel 2020 l’arrivo del Covid aveva interrotto il suo lavoro con la Nato. “Era domenica mattina e in aeroporto tutto sembrava normale, ma quando è arrivato il presidente per volare via (Mohammad Ashraf Ghani, ndr), sempre più persone hanno iniziato ad invadere l’aeroporto. Alcuni avevano delle pistole: i talebani si stavano avvicinando”.
“Le persone erano così spaventate che hanno mandato in tilt ogni controllo di sicurezza per partire senza visto o documenti. Ma nel frattempo tutti gli aerei civili erano stati bloccati”. Allora Samin ha deciso di unirsi alla folla e scappare verso la base militare dell’aeroporto. “Quando ho visto tutte quelle persone mi sono spaventato anche io, avevo paura di quello che stava succedendo e di quello che i talebani potevano fare. Alcuni avevano delle pistole e correvano verso l’aeroporto militare. Ho iniziato anche io a correre”. Così è salito su uno dei tre aerei disposti per l’evacuazione dei soldati americani su cui i militari hanno deciso di imbarcare anche i civili afghani in fuga.
“Gli americani hanno iniziato a farci entrare lentamente. Mi sono ritrovato sul cargo insieme ad altre 600 persone. Ne conoscevo solo alcune, perlopiù colleghi dell’aeroporto. Poi c’erano donne, bambini, e i passeggeri degli aerei civili bloccati. Abbiamo aspettato due ore e mezzo fermi in aereo. Gli americani non avevano previsto voli per noi, ma hanno deciso di aiutarci e di portarci in Qatar. In quelle ore ho avuto tanta paura”. Samin aveva con lui solo la divisa con cui quella mattina si era recato al lavoro, uno zaino e il cellulare.
Ma il suo timore principale era quello di essere ucciso. “Mi sono detto: ‘Se esco dall’aeroporto, i talebani mi uccidono‘. Ho lavorato cinque anni con la Nato, se sanno che sono un militare mi uccidono. Ho ancora paura che mi possano ammazzare”, dice con la voce spezzata. Ora si sente depresso e nervoso. “Ho perso il lavoro e sono lontano dalla mia famiglia”. A Kabul ci sono suo fratello e sua madre, con cui ha parlato ieri, quando finalmente è riuscito a connettersi a internet. Il fratello lavorava per l’esercito afghano, con lui i talebani hanno usato toni civili, e gli hanno chiesto solo di consegnare le armi.
Samin però non crede alle promesse di moderazione degli jihadisti e ha paura. “Non mi fido, in passato hanno ucciso già troppe persone: civili, soldati, donne, bambini, tutti. Hanno una storia troppo violenta in Afghanistan per credergli”. Secondo lui è stata proprio la consapevolezza del loro passato spietato a spingere i militari afghani ad arrendersi così facilmente. “Per i talebani è stato facile prendere il potere perché hanno spaventato tutti: i soldati hanno ceduto loro le armi per rimanere vivi. I talebani dicevano: ‘Se volete sopravvivere arrendetevi, se volete la pace consegnateci le armi'”.
“Molte persone ci hanno creduto e hanno ceduto le armi senza combattere. Conoscono i talebani e hanno paura di loro. Anche il presidente è scappato per questo. Secondo me doveva restare, ma tutti avevano troppa paura“, dice Samin. Adesso si trova nel campo profughi vicino Doha insieme a circa 640 persone, le stesse con cui è fuggito a bordo del cargo da Kabul, ma non sa molto di quello che lo aspetta. Hanno preso il suo passaporto e gli hanno restituito una fotocopia. Attende di fare l’intervista per la domanda di asilo, in Canada o in America. “Mi sento stanco. Ho dormito poco. Quando sono arrivato non sapevo dove sarei stato mandato, ci hanno portati qui dall’aeroporto. Spero di finire in un posto sicuro“.
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