«Quel nome breve e secco come uno schiaffo era una minaccia sempre sospesa nell’aria, uno spauracchio dal diciassettesimo parallelo in giù.»
Giap, il generale Giap, è morto. Il Vulcano coperto di neve, così lo chiamavano i colleghi, si è spento a 102 anni all’ospedale di Hanoi. Brillante stratega, maestro del sabotaggio e della guerriglia, secondo solo a Ho Chi Min, questo Napoleone rosso nel 1954 condusse alla vittoria i Vietminh travolgendo l’esercito coloniale francese nella battaglia da manuale di Dien Bien Phu, aprendo al Vietnam la strada dell’indipendenza.
Mente coordinatrice dell’esercito popolare vietnamita (Pavn), durante la guerra del Vietnam fu lo stesso Giap a orchestrare l’offensiva del Tet contro gli americani, passata alla storia più per il forte impatto che ebbe sull’opinione pubblica che per gli esiti sul conflitto, così come è sua l’idea di utilizzare il “sentiero di Ho Chi Min” (un intricato percorso attraverso la giungla) per fornire supporto logistico ai vietcong. Inavvicinabile e schivo, anche Oriana Fallaci lo corteggiò insistentemente per un’intervista.
Il generale concesse alla giornalista fiorentina un colloquio nel lontano febbraio 1969, ma non le perdonò mai di aver pubblicato il contenuto integrale di quella che lui non riteneva un’intervista ufficiale ma una semplice “causerie”, una chiacchierata in maniche di camicia. Quel pomeriggio invernale le sale del ministero della Guerra di Hanoi furono riempite per quarantacinque minuti dalla voce appassionata del generale. Con appena una quindicina di domande e interventi, l’Oriana traccia il profilo di un uomo sposato alla causa nazionale e avverso «alla politica neocoloniale statunitense basata sul governo estremamente instabile di Saigon». Un governo fantoccio che, a sentire il generale, si nutriva degli aiuti militari ed economici degli Stati Uniti, che, al tempo della guerra fredda, credevano di poter impiantare governi filoccidentali servendosi del dollaro.
Secondo lo statista, la fredda guerra aritmetica americana era inefficace contro la più “calda” guerra di popolo. Il conflitto in Vietnam non era una questione di effettivi e di numeri, di equipaggiamento e addestramento, l’esito dipende sempre dallo spirito del popolo che sa battersi per una causa giusta. Ne esce così il ritratto di un generale che, con sei anni di anticipo e in un momento in cui la guerra volgeva più a favore degli americani e dei sudvietanimiti, profetizzò la sconfitta americana, uno stratega convinto che aspettare che il nemico si logori arroccato sulle sue stesse posizioni sia la tattica migliore tra tutte quelle possibili.