Nei giorni scorsi si è parlato molto del fatto che oggi Israele non consente un accesso indipendente ai giornalisti e che le testate che vogliono accedere alla striscia di Gaza devono firmare un documento da 12 pagine, accettando una serie di condizioni imposte unilateralmente dall’esercito israeliano. Come funziona esattamente e cosa implica accettare queste condizioni?
Tutte le testate internazionali che operano in Israele devono rispondere alle condizioni imposte dal Censore delle forze armate israeliane, che impone che una serie di argomenti siano banditi dal poter essere trattati.
Inoltre, dal 7 ottobre in poi, con la guerra a Gaza le restrizioni si sono intensificate e chiunque vuole entrare nella Striscia non può parlare delle riunioni e delle decisioni del gabinetto di sicurezza, non può far trapelare informazioni sugli ostaggi, raccontare delle armi requisite dai combattenti di Gaza, e molto altro ancora.
I giornalisti stranieri possono entrare a Gaza solo al seguito delle truppe israeliane, sotto osservazione dei comandanti militari sul campo. E, soprattutto, tutti gli articoli e le immagini devono essere approvati dall’IDF (non sempre accade ma talvolta, specie in questi mesi, è così).
Il caso della emittente americana CNN, una tra le diverse testate internazionali ad aver siglato questo “accordo”, è emblematico per spiegare come funziona. Da sempre, tutti i giornalisti della CNN che scrivono di Israele e Palestina (a prescindere da dove si trovino) sono obbligati a sottoporre quel contenuto all’ufficio centrale dell’emittente di Gerusalemme prima che venga pubblicato.
Ciò significa che la copertura mediatica della CNN (la cui portata si estende in tutto il mondo) è stata quantomeno revisionata e, in alcuni casi, persino plasmata dai caporedattori del bureau di Gerusalemme che operano all’ombra del censore militare dell’IDF.
Ma c’è dell’altro: la CNN, in seguito allo scoppio della guerra di Gaza, ha anche inviato ai suoi giornalisti una sorta di vademecum da seguire con direttive e indicazioni precise da usare, o evitare, per gli articoli del gruppo editoriale. Addirittura la CNN ha assunto un ex soldato che lavorava presso l’ufficio del portavoce dell’IDF come reporter autorizzato sul campo.
Così, tanto per essere chiari, secondo la CNN che opera sotto il quasi-totale-controllo dell’esercito israeliano, i raid di Israele sulla Striscia devono essere descritti come “esplosioni” finché non confermati dall’IDF.
Come ha rilevato The Intercept in un lungo lavoro d’indagine sull’influenza esercitata da Israele sui media come moneta di scambio per poter accedere a Gaza, non si possono inoltre usare espressioni quali “crimini di guerra”. La CNN è finita al centro di diverse polemiche per come ha coperto il conflitto sulla guerra sin qui.
In una escalation di censura e auto-censura da parte rispettivamente di autorità e media, come se non bastasse, lo scorso novembre il Censore Militare dell’IDF ha emanato una direttiva in inglese in cui chiede ai media di “sottoporre alla censura tutto il materiale riguardante le attività delle forze di difesa e sicurezza prima della loro pubblicazione”. Così, solo nei primi 50 giorni di guerra, in Israele oltre 6.700 articoli e servizi sono stati parzialmente o completamente censurati.
Il caso Repubblica: in Italia ha fatto molto discutere la linea editoriale (pro-Israele) del quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Anche Repubblica ha firmato il documento da 12 pagine per entrare a Gaza, come ammesso dal quotidiano stesso. Il che non è un reato, ma una scelta, come quella compiuta da diversi altri media internazionali.
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