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    Una possibile svolta negli accordi che regolano il mercato tra i territori d’Israele e l’Europa

    La Commissione europea si esprimerà per la regolamentazione dei dazi sui prodotti provenienti dalle aree non internazionalmente riconosciute

    Di Davide Lerner
    Pubblicato il 12 Ott. 2015 alle 10:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:25

    Mentre in Israele si moltiplicano gli episodi di aggressione fra israeliani e palestinesi, sia all’interno del territorio dello stato ebraico che nella West Bank, una piccola svolta per il conflitto dovrebbe arrivare a settimane dalla Commissione europea.

    Fin dall’accordo di libero mercato siglato nel 1975, divenuto un più stretto “accordo di associazione” nel 1995, l’Europa riserva trattamenti doganali differenti per i prodotti esportati dal territorio israeliano all’interno della linea verde  la linea di demarcazione risalente agli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949  e quelli che arrivano dalla West Bank.

    Mentre i primi non sono soggetti a tariffe, conformemente all’accordo di libera circolazione delle merci tra Israele e Unione europea, questi ultimi vengono tassati perché non sono riconosciuti come provenienti dal territorio israeliano, e neppure da territori palestinesi, che godono anch’essi dell’esenzione tariffaria.

    Una volta varcati i confini europei, tuttavia, i prodotti vengono venduti nel mercato unico senza distinzione di provenienza, cioè tutti etichettati come “made in Israel”. Questo, nonostante esista, fin dal 2012, un regolamento europeo che distingue i territori internazionalmente riconosciuti da quelli considerati illegittimi, cioè Cisgiordania, alture del Golan e Gerusalemme est.

    Opportunità e contingenze politiche hanno fatto sì che i lavori sulle modalità applicative venissero di volta in volta rinviati, tanto che la Commissione europea non ha ancora pubblicato le sue linee guida tecniche sulla questione. Poco dopo l’inizio del suo mandato, Federica Mogherini  l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri  si è vista pervenire una lettera firmata da 16 stati membri, inclusa l’Italia ma non, guarda caso, la Germania, in cui veniva incoraggiata a procedere al più presto con le direttive.

    Fra i più determinati firmatari c’erano Inghilterra, Belgio e Danimarca, gli unici Paesi ad aver provveduto autonomamente a stilare le regole d’applicazione del provvedimento in casa propria. Alla lettera si è aggiunta una piccola campagna israeliana di sostegno all’iniziativa: fra i promotori spicca lo scrittore Avraham Burg, autore del noto saggio “Sconfiggere Hitler, per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico”.

    Sotto il video della campagna

    Federica Mogherini ha promesso di velocizzare i tempi scatenando la reazione del governo conservatore d’Israele: Netanyahu e i suoi accoliti sono ricorsi all’abusato paragone con le discriminazioni degli anni Trenta e Quaranta per manifestare la loro disapprovazione. Lo fanno così spesso che ormai hanno svuotato d’impatto emotivo persino un paragone così forte: solo la Germania se ne lascia ancora impressionare.

    Più che temere per l’impatto economico immediato – la percentuale di esportazioni in Europa provenienti dai territori non è alta e non è detto che gli acquirenti coscienziosi siano poi così tanti – i ministri temono che la presenza dei prodotti targati “settlements” possa avere una ricaduta negativa sugli export israeliani in generale. “Il marchio d’infamia su Giudea e Samaria si estende facilmente a Israele tutta”, ha dichiarato al “Times of Israel” la numero due del ministero degli esteri israeliano Tzipi Hotovely. “Siamo pronti comunque a compensare gli esportatori discriminati con dei sussidi”.

    Le direttive della Mogherini sono attese a breve ma non saranno vincolanti. Starà agli stati membri decidere se uniformarsi. Quasi tutti sembrerebbero propensi a farlo, come ha confermato in ultimo la consultazione parlamentare del 10 settembre scorso. Come fa notare l’esperta della London School of Economics Federica Bicchi, tuttavia, confusione e ritardi tipici delle arzigogolate istituzioni europee rendono d’obbligo il condizionale. Rimane la certezza che l’Unione europea è consapevole del potere economico conferitole dal suo mercato unico, e che con Israele ha sempre meno paura di usarlo. 

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