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    Sara El Debuch, le mie sfide sul grande schermo e nella vita

    L'intervista all'attrice italo-siriana, protagonista di un cortometraggio chiamato Abraham dove interpreta una ragazza irachena

    Di Asmae Dachan
    Pubblicato il 25 Feb. 2017 alle 13:29 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:51

    Sara, sei la protagonista di un nuovo cortometraggio intitolato Abraham, che ora viene presentato a molti festival internazionali. Quale ruolo interpreti?

    Nel film, del regista iracheno Alì Kareem Obaid, sono una giovane irachena che vive a Mosul con la famiglia, dopo essersi trasferita da Baghdad a causa della guerra. Quando la città finisce sotto il controllo dell’Isis, la famiglia della ragazza è costretta a pagare la jizya, una tassa, per non venire cacciata dalla sua casa. Poi la vicenda prende una piega drammatica…

    Come ti sei trovata, tu che sei poco più che ventenne, a interpretare un ruolo così drammatico?

    Mi è piaciuta sin da subito l’idea. Mi sono trovata a interpretare il ruolo di una giovane in una circostanza drammatica e per questo ho fatto un accurato studio del personaggio, che mi ha permesso di calarmi nel ruolo e riuscire a capirne le emozioni e i pensieri. Ho vissuto sulla mia pelle le sue paure, il suo orrore e la sua scelta. 

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    E da musulmana credente, come è stato per te dare voce a una cristiana e denunciare al contempo un’interpretazione malata dell’islam?

    Interpretare il ruolo di una cristiana per me è stato facile, perché tra le due religioni ci sono molte similitudini, molti punti in comune, a partire dal fatto di credere in un unico Dio. Per me è stato più complicato affrontare la parte deviata dell’islam, che non mi appartiene e alla quale non mi sono mai avvicinata.

    Provavo sentimenti contrastanti. Mi sono trovata a denunciare cosa subiscono in molte circostanze le donne cristiane e non solo, e allo stesso tempo a denunciare cosa accade quando l’islam viene storpiato e deviato, quando diventa altro dalla sua vera natura, quella che amo e che mi appartiene.

    In questi giorni a teatro sono finite le repliche dello spettacolo “La buona novella”, dove sei nientemeno che un moderno Gesù…

    “La buona novella” è ispirato all’album di De André, che è tratto dalla lettura di alcuni vangeli apocrifi. Il regista ha voluto attualizzarlo, scegliendo come protagonisti profughi siriani che richiamano figure della cristianità tradizionale, Gesù, Maria e Giuseppe.

    Maria, che è musulmana, decide di chiamare la figlia Gesù in omaggio all’ostetrica cristiana che la aiuta a partorire e che le ripete “Gesù ti sta aiutando”. Non interpreto il profeta, il Messia, ma un povero profugo con un nome importante.

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    Ancora minorenne hai esordito nel film Border, dove interpretavi il ruolo di una giovane siriana in fuga dalla guerra. Il cinema ti ha cercato proprio quando in Siria è iniziato il dramma del tuo popolo.

    Per me è sempre stato un sogno recitare e sono stata contenta di aver iniziato la mia carriera interpretando proprio il ruolo di una giovane siriana costretta a lasciare la sua terra. È stato per me un modo per contribuire a far conoscere la tragedia che si stava consumando.

    Se oggi riguardo al film mi vedo diversa, con più esperienza e consapevolezza, ma non solo cambiata solo io. È cambiata tutta la situazione in Siria, si è andata complicando, c’è molta più violenza, le parti in causa si sono moltiplicate.

    In pochi anni ho già dato voce ad altre donne vittime di questo conflitto e di queste violenze. Ora per la Siria vorrei solo pace, pace e amore. Può sembrare banale, credo però che sia indispensabile per il bene non solo delle popolazioni locali, ma anche per tutta l’umanità.

    Qui sotto la locandina del cortometraggio Abraham

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