TPI ha intervistato Irupé Tentorio, giornalista e attivista pro-aborto, a due giorni dal voto del Senato argentino, che ha detto no alla proposta di legge per legalizzare l’interruzione di gravidanza nel paese
“Ana era malata di cancro, ha chiesto di abortire per continuare la chemioterapia ma le è stato negato. Sua figlia è morta dopo 24 ore, lei un mese dopo”. Due giorni fa il Senato argentino ha bocciato la proposta di legge per legalizzare l’aborto. TPI ha intervistato Irupé Tentorio, giornalista e attivista, che ci ha spiegato perché le donne argentine prima o poi riusciranno a vincere questa battaglia.
C’è chi si stringe in un abbraccio, chi piange. Altre urlano, qualcuna tira sul volto un fazzoletto, che non è più quello bianco delle madri di plaza de Majo ma è verde, il colore diventato il simbolo del movimento che in Argentina è sceso in strada per ottenere la legalizzazione dell’aborto.
L’onda verde, come l’hanno chiamata, negli ultimi cinque anni ha scosso il paese e ha portato al centro del dibattito pubblico il corpo, le donne e la loro libertà di scelta. “Sul mio corpo decido io”, “Aborto libero, legale e gratuito”, si legge sui cartelli, sugli striscioni, sui panuelos.
In strada ci sono tre milioni di persone, che hanno aspettato i risultati del voto per sedici ore, sotto la pioggia e con una temperatura di quattro gradi. Hanno visto proiettati sui maxischermi i volti dei senatori e hanno ascoltato le loro dichiarazioni, mentre si esprimevano sul disegno di legge per legalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza.
Quando arriva la notizia che la legge per la depenalizzazione dell’aborto non ha ottenuto il sì del Senato, a Buenos Aires Plaza del Congreso è divisa a metà. Da un lato sono sventolati foulard blu, quelli dei movimenti pro-life, che lanciano fuochi d’artificio, applaudono. E urlano: “Viva la vita”.
L’altra metà è un’onda verde che si muove, si stringe e scandisce: “La battaglia non è finita”.
“Sapevamo che la legge avrebbe incontrato difficoltà in Senato, che è tradizionalmente più conservatore della Camera”, spiega a TPI Irupé Tentorio.
Insieme alle altre donne, Irupé ha seguito la votazione per tutta la notte. È una giornalista, scrive per Página/12, l’unico giornale con un supplemento dedicato alle tematiche di genere e alla diversità sessuale in Sud America.
Non è la prima volta che scende in strada: negli ultimi anni e negli ultimi cinque mesi di mobilitazione serrata – quando, dopo il sì della Camera Bassa, i movimenti delle donne hanno accelerato la corsa – le strade le ha vissute anche da attivista. Le ha viste con Karl Mancini, fotogiornalista italiano: insieme hanno raccontato le donne, le loro storie e battaglie nel progetto Ni Una Menos, un lavoro a lungo termine sulla violenza di genere, il femminicidio e la lotta dei movimenti femministi per i diritti in Argentina, ma anche nel resto del Sud America.
“La decisione dei senatori è stato un golpe contro le donne e la loro libertà, che evidentemente fa ancora paura”, continua Tentorio. “Ma il movimento non si ferma e noi continuiamo con la nostra militanza, territoriale e creativa”.
La proposta di legge è stata il punto di arrivo di un lungo percorso di discussione, attivismo e lavoro sul territorio. Da 33 anni le donne argentine si riuniscono ogni mese di ottobre ed è stato in uno di quegli incontri nazionali, tra il 2003 e il 2004, che è stata lanciata la “campagna dei fazzoletti verdi”, pensata e sostenuta da un gruppo di femministe e di attiviste.
Poi, il movimento è cresciuto con il crescere del movimento Non Una Di Meno. Il lavoro a partire dal basso è stato capillare e creativo: “Dal 2015 le iniziative sono state continue e hanno portato nel dibattito pubblico i temi dell’educazione sessuale, della sicurezza nell’interruzione di gravidanza, della sessualità. È stato un lavoro organizzato, continuo e ramificato”.
Ma anche un gioco dell’immaginazione al potere: “I temi sono stati pubblicizzati con concerti, dibattiti, performance. I panuelazos erano ovunque: in strada, nelle aule universitarie, in teatro. In ospedale e in metro”, dice Tentorio.
E da cinque mesi, tutti i martedì si è organizzato un presidio davanti al Senato “con spettacoli, letture e balli. Le più giovani e le meno, tutte insieme. È stata questa l’arma vincente: la trasversalità, l’unione delle differenze, la creatività”.
“La legge non è passata ma rimane il lavoro fatto finora e la coscienza femminista sedimentata nella società. Un forte cambiamento culturale è stato ottenuto: la percezione sociale dell’aborto. Prima non se ne parlava, non si sapeva nulla dell’interruzione volontaria di gravidanza. Era un tabù, soprattutto nelle classi più povere. Adesso non è più così: si discute pubblicamente, si parla. Si raccontano le proprie esperienze, che sono personali e politiche”, racconta Tentorio.
In Senato sono stati 38 i voti contrari, 31 i favorevoli. “Ha pesato molto l’influenza della Chiesa”, spiega Irupé Tentorio. “Ma le dichiarazioni dei senatori sono state imbarazzanti. C’è chi ha detto di non avere letto il progetto di legge, chi ha addirittura sostenuto che esistono stupri senza violenza, se vengono commessi in famiglia”.
L’ex presidente Cristina Kirchner ha criticato il risultato, affermando che la gravità della situazione è aumentata dalla mancanza di una soluzione alternativa. “Ma non aveva fatto molto durante il suo governo e la cosa è ancora più grave se si pensa che lei è una donna ed è peronista”, continua Tentorio.
Attualmente, in Argentina l’aborto è permesso solo in tre casi, come nella maggioranza dei paesi dell’America Latina: per stupro, minaccia alla vita della madre o se il feto presenta gravi problemi di salute.
La proposta di legge vuole legalizzare l’aborto durante le prime 14 settimane di gravidanza. Il termine può essere superato se la salute o la vita delle donne è a rischio oppure in caso di stupro o di gravi malformazioni fetali.
Il disegno di legge include l’aborto nel programma medico obbligatorio, quindi lo rende una prestazione medica di base, essenziale e gratuita, e stabilisce che la richiesta deve essere garantita entro un tempo massimo di 5 giorni.Inoltre, chiede che gli aborti siano praticati negli ospedali pubblici e nei privati.
Prima di arrivare alla discussione alla Camera e al Senato, la proposta ha attraversato un lungo percorso. Durante gli otto anni del governo peronista di Cristina Fernandez de Kirchner, la discussione sulla legalizzazione dell’aborto non era mai arrivata al Congresso.
È stato il presidente Mauricio Macri lo scorso 1 marzo, con il suo discorso all’apertura dei lavori all’Assemblea legislativa, a consentire che il dibattito entrasse nelle aule del Congresso. Così pochi giorni dopo, il 6 marzo il Disegno sull’interruzione volontaria di gravidanza (Ive) è stato ripresentato per la sesta volta.
Una parziale approvazione del disegno di legge c’era stata il 13 giugno, dopo un dibattito durato più di ventiquattro ore senza interruzione mentre fuori dall’aula, per tutto il tempo, erano state organizzate manifestazioni, veglie e presidi.
La piazza era stata divisa da una barriera in modo da evitare scontri tra i due schieramenti. Ora, il disegno di legge potrà essere ripresentato tra un anno.
“Ana Maria Acevedo è diventata un simbolo della nostra battaglia per il diritto ad abortire”, racconta Irupé Tentorio. Ana, ventenne, era madre di tre figli, nati con il parto cesareo. Quando ha saputo di essere di nuovo incinta, ha anche scoperto di avere un tumore alla mandibola.
Per potere continuare la chemioterapia, aveva chiesto di abortire. “Era a rischio la sua salute di madre, e quella del bambino, quindi la richiesta rientrava nei limiti permessi dalla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Il Comitato di Bioetica, incaricato di decidere sul suo caso, ha negato l’aborto. Ana è stata costretta a portare avanti la gravidanza: sua figlia è sopravvissuta solo 24 ore e lei è morta dopo un mese, devastata dal tumore”, continua.
Liliana Herrera, 22 anni e madre di due figli, è una delle ultime donne che ha perso la vita. Era arrivata il 4 agosto all’Ospedale regionale di Santiago del Estero con un’emorragia causata da un aborto clandestino.
“La questione centrale è proprio questa: in Argentina l’aborto clandestino uccide”, spiega Tentorio. “Uccide le giovani, le più povere e mette a rischio la salute di centinaia di migliaia di donne ogni anno. Solo chi può pagare riesce a rivolgersi a un medico privato o a una clinica. La maggioranza delle donne non può permetterselo. Il costo medio per un aborto praticato in una struttura privata è di 2000 euro, una cifra insostenibile”.
Secondo un rapporto di Human Rights Watch, ogni anno circa 500mila donne muoiono a causa delle complicazioni per gli aborti clandestini. La situazione è aggravata dall’assenza delle politiche per un’educazione sessuale: nella scuola secondaria non è fatta rispettare la norma che impone che nei piani di studio sia inclusa l’educazione sessuale comprensiva, una legge del 2006 stabilisce che “tutti gli studenti hanno diritto a vivere un’educazione sessuale completa nelle scuole private e pubbliche”.
“È una questione di giustizia sociale, di diritti umani e di equità. Per questo noi continueremo a lottare”, dice Tentorio. Mostra il pugno e il fazzoletto verde che stringe il polso: “Le donne argentine stanno facendo la storia”.
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