La nuova politica economica del premier giapponese Shinzo Abe, ribatezzata oltreatlantico ‘Abenomics’, sta mostrando i primi risultati.
Gli ultimi dati pubblicati mostrano un’economia in crescita e rinvigorita dalle parole bellicose del primo ministro in carica da fine dicembre, che ha promosso politiche diametralmente opposte all’austerity proposta in altri Paesi industrializzati.
L’esponente del Partito Liberal-democratico, già primo ministro a cavallo tra il 2006 e il 2007, aveva promesso nel corso della campagna elettorale in autunno di far uscire il Giappone dalla ventennale stagnazione grazie a misure considerate poco ortodosse e audaci dagli osservatori.
Pochi credevano allo stimolo fiscale e a una politica monetaria inflattiva in un periodo storico in cui a occupare i titoli di testa dei giornali sono il pareggio di bilancio nelle costituzioni dei Paesi dell’euro e i vigorosi tagli alla spesa chiesti dal Congresso americano. Meno che mai, poi, da un insospettabile conservatore nazionalista come Abe.
In concreto il governo Abe ha fin da subito impedito l’aumento dell’Iva previsto dall’esecutivo precedente, ha garantito che la banca centrale avrebbe intrapreso un nuovo corso e ha promesso riforme strutturali per il futuro. Sul fronte monetario l’impegno di stampare moneta per riportare l’inflazione a livelli accettabili non è risultata molto gradita al governatore Shirakawa, che ha manifestato freddezza di fronte al sostanziale esautoramento dell’autonomia decisionale dell’istituto, un principio che guida a livello internazionale l’operato delle banche centrali.
A marzo Shirakawa è stato sostituito da Haruhiko Kuroda, un fautore della lotta alla deflazione più accomodante alle richieste del governo. L’obiettivo dichiarato è di riportare la crescita dei prezzi al target del 2 per cento, invertendo la tendenza alla deflazione (riduzione generalizzata dei prezzi), autentico spauracchio di ogni macroeconomista che ha segnato l’economia giapponese degli ultimi venti anni.
Per riuscirci la banca centrale ha annunciato programmi straordinari di acquisto di titoli pubblici (Quantitative Easing, adottato anche da Fed e Banca d’Inghilterra) e punta a condizionare anche le aspettative sull’andamento futuro dell’economia: a questo scopo sono essenzialmente rivolte le dichiarazioni audaci del governo Abe, che spera di influenzare le previsioni di chi opera nell’economia giapponese.
Il primo risultato di queste politiche è una drastica svalutazione dello yen, il cui valore si è ridotto del 14 per cento circa rispetto all’euro da quando Abe si è insediato e del 26 per cento da settembre 2012. Una simile svalutazione tipicamente favorisce molto le esportazioni, pur danneggiando i consumatori che sono costretti a sborsare di più per le merci importate.
Il Giappone è un Paese in cui le esportazioni occupano una fetta rilevante dell’economia nazionale grazie anche a società come Toyota e Sony e non è un caso che l’indice Nikkei, che misura la performance della borsa di Tokyo, sia aumentato del 37 per cento dal giorno dell’insediamento di Abe.
I dati sull’economia nazionale relativi al mese di marzo rivelano un miglioramento di molti indicatori rispetto alla rilevazione precedente, mostrando che il Giappone sta uscendo lentamente dalla quinta recessione negli ultimi quindici anni. È ancora molto presto per decretare il successo o meno delle misure di Abe, ma la Abenomics potrebbe mettere in discussione le fondamenta stesse della politica economica attuata in Occidente.
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