L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha annunciato che sono quasi 700 i migranti che si teme siano annegati negli ultimi giorni al largo della Libia, in una serie di naufragi che sono già costati la vita ad almeno 65 persone.
Al momento ci sono almeno cento persone disperse: erano a bordo di un’imbarcazione di trafficanti di persone che si è capovolta lo scorso mercoledì. Le immagini di quel naufragio sono state documentate dalla Marina italiana insieme a un video nel corso di un’operazione di salvataggio al largo delle coste libiche (qui).
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Carlotta Sami dell’UNHCR ha specificato che, tra i dispersi, 550 persone erano a bordo di un’imbarcazione naufragata giovedì, dopo essere salpata dal porto libico di Sabrata il giorno precedente.
I testimoni hanno detto che quel gruppo di migranti stava venendo traghettato da un’altra imbarcazione di trafficanti di esseri umani perché il loro motore si era rotto. L’instabilità di queste imbarcazioni, sovraccariche di persone e in condizioni pessime, rischia spesso di causare incidenti mortali.
Venerdì scorso c’è stato un terzo soccorso in mare e 135 persone sono state tratte in salvo, mentre almeno 45 sono state ritrovate senza vita. Ma secondo le ricostruzioni dei testimoni diversi migranti risultano ancora dispersi.
Nel corso dell’ultima settimana sono 13mila i migranti tratti in salvo nel Mediterraneo, la maggior parte dei quali fatti sbarcare nei porti di Taranto e Pozzallo.
L’arrivo dell’estate e le condizioni meteo marine favorevoli hanno fatto sì che i viaggi dei migranti a bordo delle imbarcazioni dei trafficanti di persone siano ripresi con frequenza negli ultimi giorni, mettendo a dura prova il lavoro di tutte le unità navali presenti nell’area.
Dopo l’entrata in vigore dell’accordo sui migranti tra Unione Europea e Turchia, la rotta del Mar Egeo ha visto una considerevole diminuzione degli arrivi sulle coste greche, mentre quella del canale di Sicilia ha visto un aumento notevole del traffico. La scorsa settimana è iniziato anche la sgombero del campo rifugiati di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia.
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