Il 5 ottobre del 2010 Kamala Harris era in difficoltà. La giornalista Gwen Ifill l’aveva già ribattezzata “la Barack Obama donna” ma nella corsa alla Procura generale della California l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti non era certo la favorita. Il suo avversario, il repubblicano Steve Cooley, aveva vinto per ben tre volte le elezioni come procuratore distrettuale della contea di Los Angeles, la roccaforte democratica più popolosa dello stato, ed era in vantaggio anche allora grazie alla sua reputazione di magistrato integerrimo contro la corruzione.
Ma a salvare la carriera politica dell’attuale candidata democratica alla Casa bianca ci pensò proprio Cooley, circa 45 minuti dopo l’inizio del primo e unico dibattito di quella campagna elettorale. Fu un momento cruciale perché senza i suoi sei anni da Procuratrice generale della California, probabilmente Kamala Harris non sarebbe riuscita a ottenere il seggio da senatrice degli Stati Uniti nel 2016 e quindi a partecipare alle primarie presidenziali del 2020, quando fu scelta come vicepresidente da Joe Biden, che quattro anni dopo rinuncerà a correre per un secondo mandato alla Casa bianca indicandola come candidata unitaria dei democratici contro Donald Trump. Tutto questo per soli 47 secondi di un dibattito tenuto a mezzogiorno in un’anonima aula della facoltà di giurisprudenza della University of California-Davis che non andò nemmeno in onda in televisione.
Ma cominciamo dal principio. Poco prima, quella stessa mattina, i moderatori dell’evento si erano incontrati nella caffetteria dell’ateneo per prepararsi e dividersi le domande da porre ai candidati. Tra questi figuravano il reporter della tv locale Kcra Kevin Riggs, l’allora editorialista del Sacramento Bee Dan Morain e l’ex cronista del Los Angeles Times Jack Leonard. Secondo il ricordo di Riggs, fu Morain a sollevare il problema del cosiddetto “double-dipping”, ovvero percepire contemporaneamente sia uno stipendio che una pensione pagati dai contribuenti, una questione spinosa emersa proprio dalle primarie repubblicane vinte da Cooley. Alla fine fu Leonard a offrirsi di porre la domanda al candidato repubblicano, che allora aveva guadagnato molti consensi perseguendo la corruzione a Bell, una cittadina in crisi dove i funzionari locali incassavano stipendi esorbitanti.
Quarantacinque minuti dopo l’inizio del dibattito, l’allora reporter del Los Angeles Times ricordò a Cooley che lo stipendio annuo da 150mila dollari percepito dal Procuratore generale della California era quasi la metà degli oltre 292mila che il repubblicano guadagnava alla procura distrettuale. Se avesse optato per il “double-dipping” però, avrebbe ricevuto oltre 400mila dollari all’anno. «Ha intenzione di percepire sia la pensione che lo stipendio da Procuratore generale?», chiese Leonard. «Sì», rispose Cooley senza esitare, lanciando una rapida occhiata a Kamala Harris, che non aprì bocca. «Me lo sono guadagnato», aggiunse. «Ho sicuramente guadagnato tutti i diritti pensionistici che possiedo e certamente farò affidamento su quella (la pensione, ndr) per integrare l’incredibilmente basso stipendio che viene pagato al Procuratore generale». A quel punto Riggs si rivolse alla sua avversaria democratica: «C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?», le chiese il reporter della Kcra. «Fallo, Steve!», rispose Kamala Harris, lasciandosi andare a una sonora risata. «Te lo sei meritato!».
In platea i collaboratori dell’allora procuratrice di San Francisco capirono subito la portata dello scivolone di Cooley, che anni dopo ammise di essere stato solo sincero. Quei 47 secondi finirono in uno spot pubblicitario prodotto nel giro di un giorno. Non ci fu nemmeno bisogno di montarlo: il filmato cominciava con la domanda di Jack Leonard, continuava con la risposta del candidato repubblicano e si concludeva con una finta sigla da quiz show e con una scritta sullo schermo: “150mila dollari all’anno non sono sufficienti?”.
La campagna di Harris però era quasi in bancarotta e non poteva permettersi di acquistare molti spazi pubblicitari. Così la procuratrice decise di mettere tutte le uova in un solo paniere e di mandare in onda lo spot soltanto nella contea di Los Angeles, dove due mesi prima i sondaggi davano Cooley in vantaggio di 10 punti percentuali. Alla fine Kamala Harris vinse con un margine di meno di 75mila voti, ottenendo il 14 per cento in più a Los Angeles rispetto allo sfidante repubblicano, che la sera delle elezioni si era proclamato vincitore e che ammise la sconfitta soltanto tre settimane dopo il voto. Chissà cosa sarebbe successo senza quei 47 secondi.