Forse ha ragione Elio. Per noi che la raccontiamo, con le parole, le foto o le immagini, a un certo punto la guerra può diventare routine. Una routine insensata, alla quale troppo spesso ci si sottopone ad occhi chiusi, senza più valutare rischi e benefici. Non è la roulette russa di Cristopher Walker nel film Il Cacciatore, ma poco ci manca. E bisogna sapersi fermare in tempo.
Una scena del film “Il Cacciatore”:
Mi è venuto in mente il mio amico Elio, fotografo, tra i più bravi, mentre con un gruppo di colleghi l’altro giorno aspettavamo impazienti di essere imbarcati sui blindati della 9° divisione dell’esercito iracheno per andare un chilometro più in là, sulla linea del fronte, a Muhalimeen, un quartiere di Mosul.
Dai botti che si sentivano, un fraseggio cupo e inquietante, si capiva che si stava combattendo duramente; e i colleghi che rientravano, sulle navette approntate per noi dei media, ci mostravano immagini terribili: di humvee (ndr, veicolo militare da ricognizione) che saltavano in aria, di autobombe dell’Isis lanciate a tutta velocità nei vicoli affollati, di cecchini nascosti ovunque e di civili in trappola fra i colpi di mortaio degli uni e degli altri.
Per vincere la paura, i colleghi della tv curda Rudaw hanno sparato la musica a palla nel loro blindato, rientrando a velocità folle. Chi tornava alla base, dopo un paio d’ore di frontline, aveva gli occhi stravolti e, sotto il giubbotto anti-proiettile, litri di sudore appiccicavano le magliette alla pelle. Il prezzo dell’adrenalina, che ti fa sentire vivo anche quando rischi di morire.
Elio ha deciso di smettere. Se n’è andato a vivere in montagna, con la sua compagna, Greta, e con Betulla, il loro magnifico labrador. Era stufo di questa routine, non riusciva più a trovarci un senso. Io continuo a cercarlo, però mi affido all’istinto. A volte rischio, altre no. L’altro giorno, a Muhalimeen, sono tornato indietro. Non c’erano più blindati per noi giornalisti. E io non ho insistito.
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