A causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti
climatici in corso nel pianeta, esiste il rischio concreto che nel 2030 per
molte persone non sia più possibile lavorare, producendo un danno all’economia
globale di 2 bilioni di dollari.
Stando a recenti ricerche, infatti, l’aumento costante delle
temperature renderà più difficile per i lavoratori svolgere il proprio lavoro,
in particolare nelle economie più povere del mondo, dove la maggior parte delle
professioni ruota intorno al lavoro manuale all’aperto, come nell’edilizia, l’allevamento
e l’agricoltura.
Secondo il team di ricercatori neozelandesi guidati da Tord
Kjellstrom dell’Health and Environment International Trust, che hanno fatto
delle previsioni economiche basandosi sull’andamento dei cambiamenti climatici
già in atto, India e Cina rischiano di perdere un totale di 450 miliardi di
dollari entro il 2030, e i paesi in via di sviluppo come Ghana e Nigeria,
situati nelle regioni più calde del pianeta, rischiano perdite altissime in
proporzione al loro PIL.
Nel sudest asiatico, si perde il 15-20 per cento
delle ore di lavoro annuali nei lavori esposti al calore, e la cifra
potrebbe raddoppiare entro il 2050, se il surriscaldamento globale continuerà. L’aumento
delle temperature, anche se dovesse venire combattuto con un aumento del numero
impianti di aria condizionata, produrrebbe comunque l’effetto di far salire
notevolmente i costi dei consumi di corrente.
Le zone urbane sono già molto più calde rispetto alle zone
rurali, con una variazione di 1-3 gradi centigradi a seconda dell’area
geografica, a causa del fatto che edifici, strade e marciapiedi sono poco
riflettenti e intrappolano il calore in misura maggiore rispetto alle piante,
senza disperderlo.
Qui un grafico realizzato dalla testata statunitense Quartz a partire dallo studio neozelandese per illustrare quali sono i paesi considerati più a rischio a livello di perdite economiche dovute al surriscaldamento globale: