A cominciare siamo stati noi europei. Due in particolare: il britannico Mark Sykes e il francese Francois Georges-Picot. Furono loro, fra il 1915 e il 1916, a tracciare con il righello la divisione fra le zone d’influenza in Asia Minore che sarebbero toccate ai loro rispettivi imperi una volta completata, con la fine della I guerra mondiale, la dissoluzione dell’Impero ottomano: a nord della linea che congiungeva S.Giovanni d’Acri con Kirkuk avrebbero comandato i francesi, a sud gli inglesi.
Da quella spartizione, colonialistica nei metodi e arbitraria nei tracciati – colpa del petrolio, di cui si sentiva già l’odore – nacquero molti dei problemi di oggi, non ultimo l’Isis: tant’è che il primo gesto simbolico dei miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi, nel giugno del 2014, a festeggiare la nascita del nuovo auto-proclamato Califfato Islamico, fu proprio l’abbattimento a colpi di ruspa e di piccone della frontiera che divide l’Iraq dalla Siria, in seguito all’accordo Sykes-Picot.
(Nell’immagine qui sotto: una mappa illustra gli accordi del 1916 tra due diplomatici – il francese François Georges-Picot e il britannico Mark Sykes – che disegnano ad hoc i confini del Medio oriente. A= Francia ; B= Regno Unito ; C= Italia. L’articolo continua dopo la mappa)
Linee di guerra, dunque. I cui tracciati rischiano di cambiare ancora una volta, per gli sconvolgimenti in corso. I curdi, ad esempio, hanno già trincerato la linea che segna il confine con il governo centrale di Baghdad: una linea che, in un futuro assai prossimo, potrebbe includere la città di Kirkuk e anche un pezzo di Mosul, se prevarrà l’ipotesi di una gestione condivisa.
Le milizie sciite di Hashd al Shaabi stanno provando invece a conquistare la linea che collega Mosul a Raqqa, via Tall Afar: in tal modo, oltre a dare la spallata definitiva all’Isis, farebbero felice il presidente siriano Bashar al-Assad, su indicazione dell’Iran che le sponsorizza. E i turchi, infine, provano a capire quale nuova linea tracciare per scongiurare il pericolo di uno neo-stato curdo.
Insomma, dietro alla guerra contro l’Isis c’è chi lavora di righello. Si tratta di un esercizio che, come in passato, lede interessi e mortifica i popoli, col rischio di generare nuovi, possibili conflitti. Basta saperlo, se non altro per non doversi poi stupire.
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