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    “Marc era in una delle Torri Gemelle, ci implorò di salvarlo”: quattro testimoni raccontano l’11 settembre

    Credit: Afp/HENNY RAY ABRAMS/Getty Images

    Chris capì cosa vuol dire essere americano, David era a scuola, Flavio a Hollywood con Ridley Scott, Gaspare vide molti colleghi morire: quattro storie dal giorno degli attentati alle Twin Towers di New York

    Di Angelo Barraco
    Pubblicato il 11 Set. 2018 alle 12:52 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 23:41

    “Oggi, secondo le previsioni, splenderà il sole e avremo poca umidità nell’aria. Sarà una magnifica giornata settembrina, con temperature che nel pomeriggio raggiungeranno i 26 gradi”. Era questo il messaggio che diffondevano le radio di New York la mattina dell’11 settembre 2001.

    Sembrava una giornata come tante altre: numerosi newyorkesi praticavano jogging sul ponte di Brooklyn; gli impiegati si recavano puntuali negli uffici di Wall Street, a Manhattan, o facevano acquisti nell’affollatissima Times Square.

    Il sole baciava anche i quartieri urbani del Queens, Bronx e le splendide aree verdi di Staten Island, con le tipiche case in stile coloniale.

    Alle ore 08.46, un Boeing 767 dell’American Airlines 11, con a bordo 92 persone, viene dirottato da cinque terroristi affiliati ad Al-Qaeda e si schianta tra il 93esimo e il 99esimo piano della Torre Nord del World Trade Center.

    I Vigili del fuoco erano certamente abituati a piccoli e grandi incendi che interessavano quotidianamente varie zone della città, ma non potevano immaginare un’immane tragedia simile.

    “Fire man! Fire Man!”, è il grido d’aiuto che quella mattina irrompe nei centralini di tutti i distretti dei Vigili del Fuoco di New York che, immediatamente, si mobilitano verso il World Trade Center.

    Giunti sul posto, i pompieri entrano nella Torre Nord, mentre dai piani alti la gente grida aiuto o si lancia nel vuoto, consapevole che una morta certa sarebbe sopraggiunta ugualmente in quell’inferno di fuoco che li aveva imprigionati.

    Credit: AFP/Doug KANTER

    “Quel giorno capii cosa vuol dire essere un americano”

    “Ricordo lo shock, mi chiedevo ‘come potrebbe un aereo schiantarsi accidentalmente contro le torri?’ Poi capimmo che avvenne di proposito perché subito ci fu un secondo aereo”, racconta Chris Clerget, di New Britain, Connecticut

    “Lo shock si quietò e si trasformò velocemente in rabbia. Mi sorse un impulso improvviso di difendere il mio paese e vendicarmi contro chiunque avesse avuto le palle di fare una cosa del genere.

    Superata la rabbia, giunse l’orrore nel vedere la gente che penzolava dalle finestre e saltava dai palazzi a trenta piani di altezza per sfuggire al fumo e al calore.

    Poco dopo, questi sentimenti furono rimpiazzati dalla speranza, mentre guardavo quei coraggiosi pompieri e ufficiali di polizia affrettarsi verso il disastro cercando di salvare quante più vite avessero potuto”, ricorda Chris.

    “Un sentimento era chiaro. Eravamo uniti e capii cosa vuol dire essere un americano. Noi come nazione abbiamo un desiderio che ci guida alla vendetta”.

    Alle 09.02, il volo United Airlines 175, con a bordo 65 persone, viene dirottato da cinque terroristi di Al- Qaeda e si schianta tra il 77esimo e l’85esimo piano della Torre Sud del World Trade Center.

    Gli ascensori sono fuori uso, le fiamme nere avvolgono la torre, i pompieri salgono 80 piani a piedi prima di poter raggiungere la zona interessata, con la speranza di poter salvare quante più persone possibili in pericolo di vita.

    Credit: Afp

    “Abbiamo perso una grossa somma di denaro”

    “Non ricordo molto. Avevo 7 anni. Andavo alle elementari e durante una lezione abbiamo ricevuto la notizia dell’attacco e la maestra ha acceso sul telegiornale. Ricordo che hanno interrotto le lezioni. Non ricordo di aver avuto paura perché non sembrava reale all’inizio, ma quando la gente è entrata nel panico allora ne siamo stati coinvolti”, ricorda David Pontbriand, che oggi ha 25 anni.

    “Me ne stavo seduta sul letto a piegare la biancheria”, racconta Giuseppina Lisa Pontbriand, di Southington, Connecticut.

    “Ero davanti alla tv quando improvvisamente il programma che stavo guardando è stato interrotto per la notizia. Non sembrava possibile o reale. Ho visto un aereo volare dritto verso la torre gemella e attraversarla.

    Poi ho visto un secondo aereo volare verso l’altra. Ricordo di aver chiamato i miei cari, quasi come se avessi voluto verificare che ciò che avevo visto stava realmente succedendo, incluso il vedere la povera gente che deliberatamente si gettava verso la morte.

    “Quando quella mattina si erano vestiti per andare a lavorare, quelle persone non potevano sapere che poco dopo avrebbero fatto la scelta consapevole di gettarsi giù dal più grande edificio di New York City e che il mondo per come lo conosciamo sarebbe cambiato per sempre”, osserva Giuseppina.

    “L’orrore era incomprensibile. Eravamo letteralmente sotto attacco ed avevo paura per la mia famiglia ed il nostro paese.

    La mia mente tornò indietro a ciò che avevo fatto il giorno prima e mi lasciai prendere dal panico. Ero sul punto di poter sistemare la mia famiglia con un fondo pensioni e dei risparmi depositati in titoli ed azioni. Abbiamo perso una grossa somma di denaro. Denaro che avrebbe dovuto proteggere e salvaguardare a mia famiglia finanziariamente. È stata una rovina su tutti i livelli”.

    Credit: AFP PHOTO/Stan HONDA/Getty Images

    “Marc era nella Torre, ci implorò di salvarlo”

    “Ero a Londra, dove aveva una sede la società di consulenza di banche d’investimento nel mondo per cui lavoravo”, racconta Gaspare Giacalone, che oggi è sindaco di Petrosino, in provincia di Trapani.

    “La sede centrale era in un palazzo con vista sul World Trade Center. Alcuni erano proprio nel World Trade Center. Succede che scoppia la notizia e cominciamo a seguire tutto, sia in televisione sia telefonando”, spiega Giacalone.

    “Erano ore piuttosto concitate perché era l’inizio della giornata lì a New York. Alcuni miei colleghi arrivavano prima in ufficio, altri, per loro fortuna, non arrivarono in tempo e riuscirono a salvarsi. Qualcuno rimase intrappolato lì.

    Ricordo che c’era questo contatto che noi avevamo stabilito con i colleghi che si trovavano in ufficio. La cosa che ci scosse molto e rimane un ricordo indelebile fu che, mentre il nostro collega Marc che descriveva l’inferno, c’erano corpi che si lanciavano dalle finestre. Lui implorò anche noi di pregare, di salvarlo. Ad un certo punto la comunicazione si è interrotta.

    Lui fu uno dei miei colleghi vittime di quell’attentato, ma non fu l’unico”, ricorda Giacalone.

    I telegiornali di tutto il mondo raccontano in diretta il terribile attentato, fotografi e reporter correvano sul posto per cristallizzare attimi di vita, di morte e di storia.

    Alle 09.43 un Boeing 757 dell’American Airlines colpisce il lato ovest del Pentagono. Nell’attentato perdono la vita 64 passeggeri e 125 persone all’interno della struttura.

    Un altro aereo, un Boeing 757-200 della United Airlines 93, precipita in un campo nei pressi di Shankville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania). Si presume che l’obiettivo dei dirottatori fosse il Campidoglio o la Casa Bianca, anche se non è stato dimostrato con assoluta certezza.

    Intanto a New York alle 09.59, dopo un incendio di 56 minuti, crolla la Torre Sud, travolgendo le strade di detriti, con una densa nube bianca che sventra i polmoni, la vista e il cuore pieno di speranze.

    Alle 10.28, dopo un incendio di 102 minuti, crolla come un castello di carta anche la Torre Nord.

    Credit: Afp/BETH A. KEISER/Getty Images

    “Io e Ridley Scott ci guardammo negli occhi: non sapevamo che fare”

    Flavio Campagna, in arte Kampah o F CK, è un regista, pittore, illustratore, designer, fotografo e stencil artist di fama internazionale. Ha vissuto e lavorato in diverse parti del mondo: Parma, Londra, Los Angeles, San Francisco, Amsterdam, Bali, Sydney.

    Negli anni Novanta è diventato uno dei pionieri della motion graphics televisiva, riuscendo ad influenzare molti altri designer televisivi.

    Ha ricevuto numerosi riconoscimenti come un Emmy Award per la regia di una sigla per la Abc Television; la sua pubblicità per la Cherry Coke è stata inserita nella collezione permanente del Moma (Museum of Modern Art of New York).

    Flavio ci racconta così il suo 11 settembre 2001.

    “Squilla il telefono, mi sveglio mentre la luce filtra nella stanza. Sono nell’appartamento della mia fidanzata che vive a Culver City nella città degli angeli, Los Angeles.

    Lei è americana e oggi devo andare a riceverla all’aeroporto al suo ritorno dall’Italia, è andata per il compleanno di Zucchero, suo padre è un amico del cantante.

    Io sto lavorando per Ridley Scott ai titoli di testa del suo nuovo film Black Hawk Down. Rispondo al telefono ed è la voce di mio fratello Gino, anche lui come me a Los Angeles dal 1991.

    Oggi è l’11 Settembre 2001 e sono le 9 di mattina. ‘Kampah, accendi la televisione, oggi non vai all’aeroporto a prendere la tua ragazza’, sono le sue uniche parole. Resto al telefono accendo la televisione e resto basito: sembra di guardare un film di fantascienza di quelli che fanno qui ad Hollywood, ma no, è la realtà e mentre sono ancora al telefono con mio fratello che vive non lontano da lì, a Mar Vista, vedo la seconda torre che crolla e penso che sia davvero un film di fantascienza ma uno in cui ci sono dentro anch’io.

    Quel giorno chiamo Pietro Scalia, il montatore cinematografico con cui sto lavorando per Ridley e concordiamo di non trovarci al lavoro e aspettare lo sviluppo della situazione: tutto il tempo si ferma per la prima volta nel mondo, poi decidiamo di andarci il giorno dopo.

    L’atmosfera agli studi cinematografici di Jerry Bruckheimer a Santa Monica, nello stesso hangar di lavoro dove era stato appena montato il film di Michael Bay Pearl Harbour, è tesa silenziosa e preoccupata.

    Seduti intorno a un tavolo di vetro, insieme a Ridley Scott, ci guardiamo nelle palle degli occhi e non sappiamo che fare: anche il film che stiamo finendo di montare parla di un incidente americano in cui sembra essere implicato Osama Bin Laden, il capo di Al Qaida che già si sussurra essere il mandante degli attentati.

    Nei giorni seguenti arriverà a tutti noi un memo mandato dalla produzione che ci avvisa di essere stati accertati dall’Fbi come un target sensibile e intima di non aprire a nessuno non in possesso di una badge e di non accettare alcun pacco.

    Intanto quel giorno esco con gli altri nel giardino del palazzo e insieme a Jerry Bruckheimer ci stringiamo in cerchio e accendiamo tutti una candela in memoria delle vittime. Salgo in macchina alla fine della giornata e il deserto delle strade mi provoca una sensazione potente per quello che è appena successo: è come se improvvisamente l’intera nazione avesse perso l’innocenza e la verginità.

    Quella che si respirava in America prima di quel giorno era una sensazione generale di tutti che le cose non potevano mai andare peggio, ma che il futuro sarebbe sempre stato roseo e positivo.

    Dopo quel giorno il mondo e l’intera umanità ai miei occhi hanno cominciato a viaggiare inesorabilmente all’indietro in termini di progresso ed emancipazione. Se non cambia qualcosa al più presto siamo su un treno che viaggia sempre più velocemente verso il baratro… della civilizzazione!

    PS: L’aereo della mia ragazza, invece, fu solo dirottato indietro in volo mentre attraversava l’Atlantico allo stesso tempo in cui le torri crollavano. Lei venne trattenuta nel nord dell’Inghilterra per un intera settimana, poi tornò sana e salva tra le mie braccia a LA.

    Ridley decise di anticipare di diversi mesi l’uscita del film per mostrarlo a Bush e convincerlo a non mandare le truppe in guerra. Il messaggio del film Black Hawk Down è che quando vanno in guerra gli americani fanno solo disastri.

    Purtroppo questo non cambiò di una sola virgola le decisioni del presidente e causò la scomparsa dei miei titoli dall’inizio del film per questione di tempi di realizzazione (ma ne parlo e li mostro nei contributi speciali del DVD).Il film, però, vinse due Oscar”.

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