Nel dibattito di questi anni sui cambiamenti climatici, pochi evidenziano un dato macroscopico: la responsabilità enorme dell’industria petrolifera. Un problema che riguarda da vicino anche l’Italia. TPI pubblica il capitolo dedicato all’ENI del libro di Marco Grasso e Stefano Vergine “Tutte le colpe dei petrolieri”:
Il caso ENI
Molte compagnie petrolifere hanno già iniziato a decarbonizzare il loro business, o almeno hanno annunciato di volerlo fare, anche se risulta difficile credere ai virtuosi proclami di “emissioni nette zero” al 2050, cui si accennava sopra, da parte di chi ha ripetutamente mentito per decenni. Tra le compagnie apparentemente più attive su questo fronte c’è sicuramente Eni, il colosso energetico italiano fondato da Enrico Mattei, di cui ancora oggi il governo di Roma detiene il 30,1% delle azioni attraverso il ministero dell’Economia e la Cassa depositi e prestiti. Per tradurre in pratica la teoria, cerchiamo qui di chiarire che cosa ha fatto davvero Eni finora, e cosa dice di voler fare nei prossimi anni, per rendere la propria attività meno dipendente dai combustibili fossili e quindi più sostenibile dal punto di vista ambientale, nonché meno dannosa per il clima.
Prima di guardare al futuro, però, diamo una rapida occhiata al passato. Eni rientra fra le grandi aziende petrolifere al mondo per capitalizzazione, con un totale degli assets di centotrentasei miliardi di dollari al 2018, valore che la pone tra i primi venti giganti del settore in questa specifica graduatoria. Il suo punto di forza è sempre stato quello di saper trovare giacimenti di idrocarburi in tutto il mondo. Nella storia ambientale della compagnia, anche in quella recente, ci sono però alcuni punti oscuri. Accuse di aver causato disastri ambientali in varie aree del pianeta, anche in Italia. Come riassunto dal gruppo stesso nel suo ultimo rapporto annuale, Eni è accusata da varie procure di aver creato danni ambientali in Basilicata, Calabria, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna: tutti procedimenti giudiziari ancora in corso.
Fatta questa premessa, andiamo a vedere quali sono i piani futuri per ridurre l’impatto ambientale della compagnia. Qui non stiamo parlando di sversamenti di rifiuti industriali nel suolo o nel sottosuolo, o di aver causato danni alla salute delle persone (queste sono alcune delle accuse rivolte a Eni da varie procure italiane), ma di cosa ha intenzione di fare il gruppo per ridurre le emissioni di gas serra dai propri processi e, soprattutto, dai propri prodotti, come sostenuto sopra. «Siamo un’impresa dell’energia. Sosteniamo concretamente una transizione energetica socialmente equa, con l’obiettivo di preservare il nostro pianeta e promuovere l’accesso alle risorse energetiche in maniera efficiente e sostenibile per tutti.» Così la società descrive la propria mission aziendale, citando i diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.
Nel suo piano strategico al 2050, Eni ha fissato obiettivi molto ambiziosi. Fra questi c’è la riduzione delle emissioni di gas serra (ghg) scope 1, 2 e 3 dell’80% in termini assoluti, e del 55% in termini di net carbon intensity. Per fare tutto questo il Cane a sei zampe ha detto di voler puntare sull’aumento della produzione di energie rinnovabili, sulla conservazione delle foreste, sull’aumento dell’efficienza energetica, sui progetti di cattura e stoccaggio di anidride carbonica (Carbon Capture and Storage, CCS), sulla trasformazione delle raffinerie europee in bioraffinerie, sulla riduzione della produzione di gas dai processi di flaring (associato alla produzione di petrolio e disperso in atmosfera), sulla diminuzione della produzione petrolifera e il contemporaneo aumento della quota di gas.
Alcuni di questi passi sono stati già intrapresi, come la trasformazione in bioraffinerie dei vecchi impianti chimici di Gela e Venezia, l’aumento della produzione di energie rinnovabili, la netta riduzione dei volumi di gas flaring. Il problema principale, sottolineano i critici, è che, al di là di alcune iniziative già attuate e molto enfatizzate, il gruppo italiano oggi continua a basare il proprio business futuro sulla ricerca e lo sfruttamento di petrolio e gas. E le promesse di ridurre tutto questo hanno un orizzonte temporale troppo ampio, incoerente con la necessità di tagliare da subito le emissioni di gas serra per mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 °C, come indicato da tutti gli studi scientifici più accreditati. Parafrasando l’economista John Maynard Keynes, Eni si prefigge obiettivi encomiabili, ma quando saranno realizzati, nel lungo periodo, saremo già tutti morti.
Ma torniamo ai numeri e a quello che scrive Eni sul suo sito internet: «La produzione di petrolio e gas crescerà del 3,5% entro il 2025, anno in cui raggiungerà un livello stabile e poi inizierà a calare». Insomma, da qui ai prossimi cinque anni la compagnia partecipata dallo Stato italiano, firmatario dell’Accordo di Parigi, non ha alcuna intenzione di estrarre meno idrocarburi, anzi vuole aumentarne la produzione. In un rapporto pubblicato il 13 maggio 2020 da Fondazione finanza etica, Greenpeace e Re:Common, le tre organizzazioni scrivono che «a fronte di un’emergenza climatica già oggi gravissima, il gruppo Eni decide di rimandare l’adozione di misure di drastica riduzione delle emissioni di gas serra di sei anni, continuando con il business-as-usual fino al 2025».
Una tesi molto simile è sostenuta da un altro studio pubblicato negli stessi giorni dall’associazione A Sud e dal Centro documentazione conflitti ambientali. «In totale gli investimenti previsti fino al 2023 nel settore up-stream rappresentano il 74% del totale, una percentuale ben più alta di quanto ci si aspetterebbe da un’impresa che dice di voler puntare sulla riconversione.» Dunque, sebbene punti a ridurre il proprio impatto sul clima, Eni per ora continua a spingere forte sull’estrazione di idrocarburi. D’altra parte Eni è una società che per suo statuto ha l’obiettivo di fare profitti, e finora li ha sempre fatti scoprendo e sfruttando giacimenti di combustibili fossili.
L’altro punto su cui insistono i critici è il gas. Quando l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, promette di voler ridurre nettamente la produzione di idrocarburi a partire dal 2025, si riferisce soprattutto al petrolio. Gran parte di tale riduzione sarà relativa alla produzione di petrolio, ha annunciato Descalzi, «mentre il gas costituirà l’85% della produzione dell’azienda entro il 2050». Ma davvero il gas inquina meno del petrolio, cioè è davvero il combustibile fossile “ponte” verso le rinnovabili come sostiene unanimemente l’industria petrolifera?
«Il presunto maggiore contributo alla riduzione delle emissioni ghg scope 1, 2 e 3 [del gas, N.d.A.] rispetto al petrolio è messo in discussione da numerosi studi, in particolare a causa delle emissioni fuggitive di metano» scrivono nel loro rapporto Fondazione finanza etica, Greenpeace e Re:Common. La critica delle tre organizzazioni alla strategia di Eni si basa soprattutto su uno studio pubblicato a settembre del 2019 da Energy Watch Group, un think tank con sede a Berlino di cui fanno parte ricercatori e parlamentari convinti che una società basata sulla combustione del gas potrebbe fare aumentare l’effetto serra del 40%, a causa delle perdite di metano che avvengono normalmente durante i processi di estrazione e combustione. Questo perché il metano è un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica, come detto.
Lo studio di Energy Watch Group, se confermato da altre ricerche scientifiche, metterebbe in crisi non solo il modello di business di Eni (e quindi dell’Italia), che punta molto sullo sfruttamento del gas grazie anche alle sue ricche riserve, ma anche alle prescrizioni della Iea. In attesa che la scienza chiarisca meglio questo aspetto, una cosa è certa. Mentre da una parte si presenta come una società pienamente consapevole dei rischi della crisi climatica in corso, Eni almeno per i prossimi cinque anni continuerà ad aumentare la produzione di idrocarburi, sia di petrolio sia di gas. Non è la sola multinazionale petrolifera a farlo, anzi, come abbiamo raccontato nelle pagine precedenti, ci sono concorrenti che spingono ancora di più sullo sfruttamento dei combustibili fossili. Ma visto che è italiana, per di più partecipata in larga misura dal governo, le sue scelte sono ancora più importanti per tutti noi.
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