Stellantis e la crisi dell’automotive a Torino
C’è un dato che fa spavento e che dice tutto, sulla crisi dell’automotive a Torino. Nel 2006 in provincia furono prodotte 218mila auto, nel 2019 appena 21mila: in quindici anni un crollo del 90%, secondo i numeri dei sindacati. L’osservatorio della Fiom-Cgil ha calcolato che dal 2008 al 2020, nel Torinese, sono stati persi 32mila posti di lavoro su 119mila: un calo del 27% nel quale il settore automotive è stato triste protagonista. Nello stabilimento ex Fca di Mirafiori si avanti con la cassa integrazione da ormai 14 anni.
C’era una volta la Fabbrica Italiana Automobili Torino. Oggi la Fiat si chiama Stellantis e parla il francese: il capoluogo sabaudo è sempre più alla periferia del gruppo.
A metà aprile è stato annunciato un mese di cassa integrazione alla Maserati di Grugliasco, mentre vanno incontro a più di due mesi di cassa gli addetti della Comau, storica azienda torinese – anch’essa (come Maserati) controllata da Stellantis – specializzata in robotica e automazione industriale.
Il caso Comau
Si parla di un leader mondiale nel suo campo, con 9 mila dipendenti sparsi in tutto il mondo, dal Brasile alla Cina passando per Repubblica Ceca, Germania e Francia. Dal giugno 2020 il presidente di Comau è Alessandro Nasi, cugino di John Elkann e Andrea Agnelli (nonché indicato dalla Gazzetta dello Sport come possibile successore di quest’ultimo alla presidenza della Juventus). L’amministratore delegato è Paolo Carmassi, ex manager della multinazionale statunitense Honeywell e della Malvern Panalytical.
Con la fusione tra Fca e Psa, su questo gioiello della robotica si sono addensate fitte nubi: da circa un anno si parla di un imminente spin-off con annessa quotazione in Borsa, ma c’è anche chi continua a parlare di una probabile cessione.
Il 23 aprile Comau ha comunicato che tra maggio e giugno farà ricorso a 9 settimane di cassa integrazione per 157 dei suoi 900 addetti italiani. Motivo: la forte riduzione delle commesse da parte delle aziende dell’automotive, che stanno facendo i conti con la crisi del Covid. Riduzione che, stando a quanto riferiscono i sindacati, sarebbe da imputare principalmente alla casa madre Stellantis, di gran lunga il principale committente dell’azienda in Italia.
“Siamo preoccupati perché, da quando Fca è confluita in Stellantis, non si capisce quale sarà il nostro destino”, racconta Marco Parisi, delegato della Fiom. “Nell’estate 2020 era stato annunciato lo spin-off dell’azienda, ma non sappiamo quando e come avverrà. Non si sa da che parte si vuole andare, siamo in un limbo”.
“Negli ultimi anni ci sono stati molti prepensionamenti che non sono stati compensati da nuove assunzioni: ogni 20 tempi indeterminati che escono ne entrano 3 interinali”. Non è la prima volta che Comau fa ricorso alla cassa integrazione: era già successo negli anni passati per far fronte a brevi periodi di contrazione delle commesse. “Questa volta però è diverso – spiega Parisi – perché sta succedendo qualcosa ma non sappiamo cosa”.
Interpellata da TPI, Comau non ha voluto commentare né le voci su spin-off e cessione né la notizia del ricorso alla cassa integrazione.
“Momento delicato”
“Il momento è molto delicato”, osserva il segretario nazionale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, parlando della situazione dell’automotive in Italia. “La nascita di Stellantis ha portato con sé prospettive importanti ma anche grande preoccupazione per le possibili operazioni di riduzione dei costi che avvengono sempre in questi processi di fusione”.
E il discorso non riguarda solamente gli addetti del gruppo Stellantis, ma anche l’intero indotto italiano, che rischia di subire la concorrenza transalpina: “Il gruppo sta analizzando il rapporto con le forniture e c’è un tema di inferiorità del nostro indotto rispetto a quello francese, in termini non qualitativi ma dimensionali”, spiega Uliano.
“C’è un’incertezza che va ad aggiungersi a una fase particolarmente difficile del settore, tra crisi e cambiamento tecnologico. Sull’elettrico in Italia siamo un passo indietro rispetto ai francesi che avevano investito sull’ecologico molto prima di noi. Non vorremmo, però, che per questa ragione si decida di privilegiare la produzione in Francia”.
Il leader delle tute blu della Cisl si chiede perché il governo italiano non faccia qualcosa: “Bisogna far sentire forte il ruolo della politica” dice. “Non è possibile che, mentre il governo francese fa sentire la sua presenza in Stellantis, da noi non ci sia attenzione su questo gruppo”.
La lettera di Appendino a Draghi
La sindaca di Torino, Chiara Appendino, lo scorso 15 aprile ha scritto una lettera al premier Mario Draghi per richiamare l’attenzione sulla crisi dell’auto che attanaglia la città.
La sindaca ha ricordato gli impegni recentemente assunti da Stellantis e dal governo francese per sviluppare il ruolo della Francia come “grande nazione dell’auto”. “Per quanto riguarda l’Italia e la città che ho l’onore di rappresentare, per il momento solo silenzio”, ha invece rimarcato Appendino. “Torino merita di essere tutelata sia dal punto di vista dell’occupazione che dal punto di vista del suo innegabile ruolo di punto di riferimento mondiale del settore dell’auto”, ha aggiunto la sindaca, che ha chiesto a Draghi di “prevedere l’utilizzo di parte delle risorse del Recovery Plan per permettere a Torino di continuare il suo percorso”.
Il 28 aprile a Torino si è tenuto un Consiglio comunale dedicato proprio alla crisi dell’automotive in città. Una cosa che non accadeva da decenni. In Aula è intervenuto Davide Mele, deputy della regione Enlarged Europe di Stellantis, che ha confermato gli investimenti per 2 miliardi del gruppo sugli stabilimenti torinesi.
La sindaca Appendino ha insistito davanti ai consiglieri: “Il momento è storico, dobbiamo fare sentire la nostra voce sui progetti affinché il governo con le sue politiche industriali e Stellantis, accompagnata dal governo come avviene in Francia, possano tutelare il settore”.
Come avviene in Francia, appunto. Il presidente Emmanuel Macron a maggio 2020 ha varato un piano da 8 miliardi di euro di investimenti per fare del Paese il primo produttore europeo di auto ecologiche. Come raccontato da TPI, Stellantis, da parte sua, contribuirà con 10 milioni di euro a un fondo istituito dallo Stato francese per riqualificare i lavoratori che – nella transizione verso l’elettrico – rischiano di perdere il posto.
E in Italia? Il Pnrr varato dal Governo Draghi fissa l’obiettivo di 6 milioni di auto elettriche circolanti nel Paese entro il 2030, per le quali si stima saranno necessari 31.500 punti di ricarica rapida pubblici.
La gigafactory di Stellantis
Complici le sollecitazioni della Commissione europea, sulle auto elettriche dice di voler puntare forte anche Stellantis. L’amministratore delegato, Carlos Tavares, ha stilato la tabella di marcia: nel 2021 le auto elettriche dovranno rappresentare il 14% delle vendite totali in Europa, per poi salire al 38% entro il 2025 e al 70% entro il 2030. Il piano passa anche attraverso la realizzazione di nuove fabbriche di batterie, le cosiddette gigafactory: due sono già pronte, una in Francia, a Douvrain, e l’altra in Germania, a Kaiserslauten. Ma Tavares ne vuole costruire un’altra in Europa: entro fine anno sarà deciso dove.
Giorgio Airaudo, segretario regionale della Fiom in Piemonte, non si dà pace: il premier Draghi – dice – deve fare di tutto per portare la gigafactory di Stellantis qui in Italia. “È un’occasione da non perdere. E io penso che la fabbrica andrebbe portata proprio a Torino, potrebbe essere fatta dentro Mirafiori”. La fabbrica delle batterie, secondo il sindacalista, “è un punto strategico perché consente di riconvertire quei posti di lavoro” che saranno coinvolti nella transizione ecologica. “Chi avrà le batterie avrà i volumi e avrà i posti di lavoro”, riassume Airaudo.
“Ma il negoziato per portare la gigafactory in Italia lo deve fare il governo nella persona del presidente del Consiglio Draghi”, sottolinea il leader della Fiom piemontese, ex deputato di Sel. “Se su questo punto il governo non farà una politica aggressiva e perderemo questa occasione, quelli italiani rischiano di diventare gli stabilimenti di riserva d’Europa”.
“A Torino tira un’aria pessima”, prosegue Airaudo. Le rassicurazioni sui miliardi di investimento da parte di Stellantis? “Una barzelletta. Quelli fanno parte del vecchio piano di Marchionne, non sono aggiuntivi”.
Il problema, insiste il sindacalista, è che “in Italia il governo da 15-20 anni non si occupa di auto e ha delegato tutto alla Fiat, plaudendo alle varie operazioni fatte”, come la fusione con Chrylser. “Sembrava comprassimo l’America – chiosa Airaudo – e invece ci siamo ritrovati francesi”.
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