In Italia c’è una Stellantis che chiede soldi allo Stato sotto forma di garanzie sui prestiti e cassa integrazione, in Francia ce n’è un’altra che allo Stato i soldi li dà per combattere la disoccupazione. Miracoli del capitalismo alla transalpina che regge ormai saldamente il comando di quella che un tempo era la Fiat italiana degli Agnelli.
La notizia è che Stellantis contribuirà con 10 milioni di euro a un Fondo istituito dal governo francese per riqualificare i lavoratori del settore automotive che rischiano di perdere il posto a causa della transizione verso l’elettrico, per la quale il presidente Emmanuel Macron ha varato un maxi-piano da 8 miliardi di euro.
Il fondo per i lavoratori ammonta a 50 milioni di euro: tre quinti delle risorse ce le metterà la mano pubblica, il resto sarà a carico di Stellantis e Renault, entrambe partecipate dallo Stato francese (10 milioni ciascuna). “Stiamo facendo il massimo per proteggere i lavoratori”, ha spiegato il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire. I soldi serviranno, in particolare, a fornire nuove competenze agli operai oggi impiegati nella produzione di componenti metallici o siderurgici per il settore automobilistico. Addetti che, di fronte all’avanzata dell’elettrico sollecitata anche dalla Commissione europea, rischiano di rimanere tagliati fuori dal mercato.
Stellantis e Renault sono aziende private transnazionali: franco-italo-cinese la prima, franco-nippo-tedesca la seconda. Se finanzieranno l’operazione pubblica, è anche perché entrambe hanno tra i propri azionisti lo Stato francese, che controlla il 6% di Stellantis e il 15% di Renault.
In Italia – almeno nel comparto dell’automotive – non siamo abituati a questo interventismo privato nel settore pubblico. La storia di Fiat, prima, e di Fca poi, è scandita, al contrario, da una lunga serie di finanziamenti statali a favore del privato.
L’ultimo in ordine cronologico risale a un anno fa, quando, tra mille polemiche, Fca Italy chiese e ottenne un prestito bancario garantito dallo Stato per 6,3 miliardi di euro per far fronte alla crisi determinata dall’emergenza Covid. A far discutere, allora, fu in particolare la prospettiva del maxi-dividendo da 5,5 miliardi di euro previsto in pagamento per gli azionisti a fine anno (il dividendo poi effettivamente distribuito è stato pari a 2,9 miliardi).
“Fca usa i soldi degli italiani per pagare dividendi, fanno i liberisti con il culo degli altri”, protestò l’eurodeputato Carlo Calenda intervistato da Luca Telese su TPI. Ma ad arrabbiarsi molto per quel finanziamento fu anche Andrea Orlando, che all’epoca era vicesegretario del Pd e che oggi, ironia della sorte, è ministro del Lavoro.
Perplessità motivate anche dal fatto che nei decenni precedenti Fiat era già stata sovvenzionata più volte dallo Stato. L’ufficio studi della Cgia di Mestre ha calcolato che solamente nel periodo tra il 1977 e il 2012 l’azienda di casa Agnelli ha ricevuto l’equivalente di 7,6 miliardi di euro da Roma, a fronte di 6,2 miliardi investiti.
Gli Agnelli, tramite la holding di famiglia Exor, restano ancora oggi i primi azionisti di Stellantis, ma ultimamente hanno intrapreso con slancio la strada della diversificazione: l’auto non è più al centro degli affari di casa, affiancata dai nuovi business dell’editoria e della moda. E se John Elkann è presidente di Stellantis, il volante del gruppo ce l’hanno in mano i francesi, con l’amministratore delegato Carlos Tavares che giorni fa, insieme al ministro transalpino Le Maire, si è premurato di assicurare che “la Francia sarà una grande nazione dell’auto”.
Il futuro delle fabbriche italiane, invece, è un’incognita. L’ad ha fatto sapere che i costi vanno tagliati e in alcuni stabilimenti – vedi Melfi – si parla insistentemente di una forte riduzione delle linee produttive, mentre la controllata torinese Comau (componentistica) dovrà ricorrere a 9 settimane di cassa integrazione per far fronte all’annullamento delle commesse da parte della casa madre. I sindacati chiedono a gran voce al Governo Draghi di interessarsi della partita, ma il premier per ora si è limitato a dire che “Stellantis non è un dossier aperto”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it