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    Stellantis piange miseria ma stacca un assegno da 600 milioni per Elkann

    John Elkann. Credi: AGF

    Migliaia di operai cassintegrati. Spending review nelle fabbriche. L’a.d. Tavares che implora soldi pubblici per le auto elettriche. Eppure l’ex Fiat continua a distribuire maxi-dividendi ai suoi azionisti. Altro che crisi

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 4 Mar. 2023 alle 07:00

    Mentre nelle gelide fabbriche gli operai piangono, nei salotti vellutati gli azionisti brindano. Non è dato sapere se con spumante italiano o con champagne francese, ma di sicuro brindano. È così quest’anno, come lo fu quello passato e quello precedente ancora, e così via. Difficile sfuggire alla retorica del “ricco felice a scapito del povero triste”, quando ci si trova a raccontare le relazioni finanziarie di Stellantis e il contesto che le circonda. 

    Del resto, cosa pensereste voi di un’azienda in cui, nell’ordine: l’amministratore delegato implora da mesi l’aiuto dello Stato; i responsabili degli uffici acquisti chiamano i fornitori e chiedono sconti massicci; migliaia di dipendenti sono da anni in cassa integrazione; e negli stabilimenti è in atto una draconiana operazione di tagli alla spesa?

    Vi sembrerebbe il resoconto di un’impresa, come minimo, in difficoltà. E invece stiamo parlando di una multinazionale che gode di straripante salute, almeno dal punto di vista finanziario: nel 2022 – stando al bilancio presentato lo scorso 22 febbraio – Stellantis ha registrato un utile netto di quasi 17 miliardi di euro, in crescita del 26% rispetto al 2021, con un margine operativo rettificato (cioè escluse le tasse) pari a 23 miliardi (+29%) a fronte di 179 miliardi di euro di fatturato (+18%).

    Numeri che hanno portato il consiglio d’amministrazione a preparare un dividendo sontuoso per gli azionisti: 4,2 miliardi (l’anno scorso furono 3,3). Così la famiglia Agnelli-Elkann, che tramite la holding Exor controlla il 14% delle quote, intascherà 600 milioni euro in un colpo solo. 

    Il cda ha anche previsto di stanziare 2 miliardi (l’anno scorso furono 1,9) in premi da distribuire ai lavoratori: per quelli italiani significa un bonus una tantum in busta paga da 1.429 euro. Eppure, chiedendo come vanno le cose a uno qualsiasi dei 46mila dipendenti che il gruppo conta nel nostro Paese, difficilmente si riceve in cambio una risposta soddisfatta.

    A proposito, fino a due anni fa gli addetti erano 50mila, poi l’azienda ha avviato un piano di sforbiciate all’organico che ha portato 4mila fra operai, ingegneri e impiegati ad accettare una buonuscita e dimettersi (su TPI l’abbiamo chiamata “Fuga da Stellantis”).

    Queste uscite non sono state compensate da nuove entrate, cosicché per chi è rimasto il carico di lavoro è aumentato. Inoltre, da quando Fiat Chrysler si è fusa con Peugeot ed è diventata Stellantis, negli stabilimenti, ma anche negli uffici, sono state tagliate tutte, o quasi, le spese che potevano essere tagliate: dai servizi di mensa a quelli di pulizia.

    Tutto questo ha finito per peggiorare le condizioni di lavoro: a Mirafiori nell’ultimo anno la Fiom-Cgil ha proclamato diverse giornate di sciopero proprio per protestare contro i disagi che gli addetti devono sopportare.

    Il tutto mentre, da Torino a Melfi, passando per Cassino e Pomigliano, nelle fabbriche c’è, ormai strutturalmente, una quota di operai che a turno va in cassa integrazione (cioè viene pagata dall’Inps). Non solo: proprio in queste settimane i responsabili acquisti del gruppo stanno contattando alcuni fornitori, da cui pretendono sconti anche del 6-7%.

    «Chiedere uno sconto è abbastanza usuale, ma qui il problema è che se non accetti ti annullano le commesse e vanno da un altro fornitore: una pratica inaccettabile», si sfoga il capo del commerciale di un’azienda dell’indotto torinese.

    Fra tagli, razionalizzazioni, risparmi, Stellantis a livello globale nel 2022 è riuscita a ottenere «benefici di cassa» pari a 7 miliardi di euro, in anticipo di due anni rispetto all’obiettivo di 5 miliardi che era stato fissato dall’amministratore delegato Carlos Tavares.

    Tavares l’anno scorso era finito nel mirino di un socio di minoranza, la finanziaria etica Phitrust, per il suo compenso d’oro: 19 milioni di euro, più del doppio di quanto viene pagato il tedesco Herbert Diess, amministratore delegato del gruppo Volkswagen, che – sebbene venda più auto di Stellantis – guadagna “appena” 8,6 milioni.

    Persino il presidente francese Emmanuel Macron, durante la campagna elettorale per le presidenziali, aveva definito quello stipendio «scioccante» e «astronomico»: un’uscita tutt’altro che velleitaria, peraltro, se si considera che lo Stato francese è azionista di Stellantis.

    Tavares era stato difeso, invece, dal presidente del gruppo, John Elkann, che si auto-riconosce una retribuzione di 7,8 milioni: «Siamo un’azienda fondata su una cultura meritocratica», aveva dichiarato il nipote di Gianni Agnelli. «Ricompensare in base alle prestazioni fa parte del modo in cui Stellantis riconosce l’impegno dei suoi dipendenti e il loro effettivo contributo al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi prefissati». 

    L’amministratore delegato, proveniente da Peuegot, è uno specializzato in piani di risanamento, come ha dimostrato in passato quando ha rilanciato il marchio Opel.

    Tuttavia oggi, ogni volta che viene intervistato, insiste su un altro punto: i governi europei devono contribuire con soldi pubblici, sotto forma di incentivi all’acquisto, alla transizione dalle auto termiche a quelle elettriche.

    «Le auto senza incentivi – ripete da mesi il supermanager portoghese – sono ancora troppo costose per la classe media. Dove ci sono gli incentivi le vendite crescono, dove cessano calano».

    Eppure, su 700 milioni di euro stanziati dal Governo Draghi nel 2022 per gli eco-bonus sulle auto a batteria, quasi 300 sono rimasti inutilizzati dai clienti e le vetture ricaricabili oggi rappresentano appena l’8,6% delle nuove immatricolazioni in Italia.

    Per Tavares, occorre alzare la posta: aumentare, o rimodulare, gli incentivi in modo da abbassare più sensibilmente il prezzo a carico del cliente finale. Ma il succo è che, senza l’aiuto dei governi, secondo l’amministratore delegato, l’elettrificazione andrà poco lontano. 

    Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, sembra disponibile a parlarne, magari ponendo come condizione che gli incentivi possano essere utilizzati solo per comprare auto prodotte in Italia.

    Ma quando, lo scorso 14 febbraio, ha ricevuto al ministero i rappresentanti di Stellantis, Urso ha anche ricordato loro che tra il 2022 e il 2026 la multinazionale incasserà 2,7 miliardi di euro dallo Stato italiano tra contratti di sviluppo e accordi di innovazione. Fondi per investimenti che si sommano a quelli sborsati, tramite l’Inps, per finanziare la cassa integrazione.

    E mentre l’azienda invoca il sostegno pubblico e porta avanti la sua spending review, gli azionisti si preparano ad incassare l’ennesimo lauto dividendo.

    Per gli Agnelli-Elkann i 600 milioni di euro che saranno formalmente staccati all’assemblea dei soci del prossimo 13 aprile si aggiungono ai 470 milioni intascati con la cedola pagata nel 2022. Che a sua volta arrivava dopo i 144 milioni del 2021 e gli 870 che erano stati riconosciuti in via straordinaria a Exor al momento della fusione tra Fca e Psa. Il totale fa 2,1 miliardi in poco più di due anni. Ce n’è abbastanza per stappare una buona bottiglia e festeggiare.

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