Negli stabilimenti italiani di Stellantis c’è forte agitazione: la crisi dell’auto continua a farsi sentire, la transizione verso l’ecologico rappresenta un’opportunità (di rilancio) ma anche un rischio (di rimanerne tagliati fuori) e in tutto questo l’azienda non ha ancora precisato i suoi piani in Italia per gli anni a venire. Il futuro è certamente l’elettrico, ma il presente si chiama per molti cassa integrazione.
Com’è iniziato il 2021
Mercoledì 5 maggio Stellantis ha presentato i risultati del primo trimestre 2021. Tra gennaio e marzo, nei suoi primi tre mesi di vita, il gruppo nato dalla fusione tra Fca e Psa ha consegnato a livello globale poco più di 1,5 milioni di autoveicoli, realizzando ricavi per circa 37 miliardi di euro.
Trattandosi appunto dei primi tre mesi di vita dell’azienda (e non essendoci quindi un storico a cui fare riferimento), la performance è stata valutata mettendo a confronto questi dati con quelli registrati nel primo trimestre del 2020 da Fca e Psa messe insieme. Ne è emerso un aumento dell’11% delle consegne e del 14% del fatturato.
Secondo il direttore finanziario Richard Palmer, “il portafoglio di marchi diversificato ha trainato la crescita dei volumi”. Stellantis assorbe oggi da sola il 40% del mercato italiano e il 23,6% di quello europeo, sul quale nel primo trimestre 2021 ha messo a segno un incremento a due cifre (+11%) rispetto alla media continentale di settore del 4%. In virtù dei risultati raggiunti nel primo trimestre, il gruppo ha quindi confermato gli obiettivi fissati per il 2021.
L’assemblea degli azionisti del 15 aprile, inoltre, ha dato il via libera alla distribuzione straordinaria di dividendi per un miliardo di euro: per ogni singola azione detenuta lo stacco – formalizzato il 28 aprile – è stato pari a 32 centesimi.
La crisi dell’auto
Dunque – ricapitolando – le consegne sono aumentate, i ricavi sono aumentati e gli azionisti hanno ricevuto in pagamento un dividendo straordinario. Ma allora dov’è questa crisi? Per capirlo basta andare a vedere i numeri pre-pandemici.
Secondo Acea, l’associazione dei costruttori di auto europei, nel primo trimestre 2021 Stellantis ha immatricolato sul mercato Ue poco meno di 604mila veicoli passeggeri. Nel confronto con lo stesso periodo del 2020 – quando in Europa scoppiò il bubbone Covid-19 – si nota un aumento del 9%, ma rispetto al 2019 – che pure all’epoca fu considerato un anno nero per l’automotive – il paragone è impietoso: nel primo trimestre di due anni fa Fca e Psa immatricolarono cumulativamente all’interno dell’Unione europea 823mila auto passeggeri: il 27% in più di quest’anno. E nei primi tre mesi del 2018 addirittura 973mila (+38%).
Ma la crisi è di sistema e a soffrire non è solo Stellantis. Sempre secondo i dati di Acea, tra primo trimestre 2018 e primo trimestre 2021 il gruppo Volkswagen ha visto calare le immatricolazioni nella Ue del 34% e Renault del 41%.
L’automotive sta attraversando una delle peggiori fasi dal dopoguerra, schiacciato dalle politiche sui dazi e dalla contrazione dei consumi. E ad aggravare il quadro negli ultimi mesi è arrivata anche la “carestia” dei semiconduttori, che sta costringendo alcune fabbriche a fermarsi semplicemente perché non arrivano i rifornimenti di microchip.
È il caso, ad esempio, del mega-stabilimento Stellantis di Melfi, in Basilicata, dove lunedì 3 maggio – proprio per la mancanza di semiconduttori – è stato annunciato uno stop alla produzione di otto giorni con conseguente ricorso alla cassa integrazione.
Gli stabilimenti Stellantis in Italia
Nel 2020 l’impianto di Melfi ha prodotto da solo metà delle auto Fca made in Italy. L’inizio del 2021, si legge in un rapporto della Fim-Cisl, “doveva essere il tempo della piena occupazione” per i 7.200 addetti del sito, “con la partenza del terzo turno sulla linea di produzione delle ibride e il riassorbimento dei 1.500 lavoratori in cassa integrazione a rotazione da settembre 2018, dopo il fermo produttivo della Fiat Punto. Invece abbiamo assistito a continui rinvii e ad ulteriori richieste di cig”. E a Melfi adesso c’è grande preoccupazione per le voci secondo cui la produzione di 500x, Jeep Renegade e Compass sarà presto tutta concentrata su un’unica linea, a fronte delle due linee attuali.
Negli stabilimenti italiani di Stellantis la cassa integrazione sta diventando quasi una triste regola. A Pomigliano, sempre secondo i calcoli della Fim, la cig a rotazione riguarda in media un terzo dei 4.500 lavoratori. A Cassino il crollo dei volumi – complice anche la fine della produzione dell’Alfa Romeo Giulietta – costringe a casa metà dell’organico (che nell’ultimo anno e mezzo è sceso da 4.300 unità a 3.400). E anche a Mirafiori – dove nel 2020 il lancio della 500 elettrica aveva fatto ben sperare – è tornata la cassa integrazione, così come nel sito Maserati di Grugliasco.
Le inquietudini dei lavoratori
All’origine di queste frenate produttive ci sono le difficoltà trasversali a tutto il settore automotive. Ma, secondo i sindacati, bisogna fare i conti anche con un tema più specifico: le fabbriche italiane hanno (ancora) un ruolo di primo piano per Stellantis?
È la stessa azienda, nel commentare i risultati del primo trimestre 2021, a sottolineare che le vendite sul mercato europeo sono trainate principalmente dalle Peugeot 208 e 2008, dalla Citroën C4 e dalla Opel Mokka: tutti modelli della ex Psa.
In un comunicato diffuso a margine della trimestrale, la Fiom-Cgil attacca: “La chiusura del piano industriale presentato da Fca nel 2018 non ha portato i risultati più volte annunciati in termini di piena occupazione”.
E Ferdinando Uliano, leader della Fim-Cisl, dichiara a TPI: “Da un lato c’è la crisi del settore, dall’altro la carenza di semiconduttori. Ma, al di là di questi fattori, in Stellantis partiamo comunque da un quadro di non saturazione degli impianti. Il punto è che servono prodotti nuovi”.
Il nuovo piano industriale sarà presentato alla fine dell’anno. Per il 2021 le novità negli stabilimenti italiani sono rappresentate dai restyling su Alfa Romeo Giulia, Stelvio e Ducato e dalle versioni ibride di 500x, Jeep Compass e Renegade e Maserati Levante. I nuovi modelli annunciati per l’anno in corso sono cinque: uno in casa Alfa Romeo (il Tonale) e quattro in casa Maserati (il Grecale e la Mc20, più le nuove Gt e Gc). Ma si parla di volumi non tali di far sperare in un ritorno a pieno regime degli impianti.
E ad alimentare le preoccupazioni degli operai italiani c’è l’annunciato piano di riduzione dei costi da 5 miliardi di euro: piano che per il 40% graverà sui costi produttivi.
La rivoluzione dell’elettrico
La crisi del settore e la carenza dei microchip si incrociano pericolosamente con l’improrogabile transizione ecologica. E infatti il 2021 dovrebbe essere nei piani di Stellantis l’anno della svolta elettrica (è già stato calendarizzato per l’8 luglio un non meglio precisato “Electrification Day”). L’amministratore delegato, Carlos Tavares, vuole incrementare da 29 a 40 il parco di auto a batterie della casa e triplicarne le vendite entro fine anno, portandole a rappresentare il 14% del mercato europeo del gruppo, per poi salire al 38% entro il 2025 e al 70% entro il 2030.
Intervistato dal settimanale francese Le Point, Tavares ha annunciato che, “con la tecnologia elettrica che PSA ha portato nel gruppo”, non ci sarà più bisogno dei crediti ambientali che Fca era solita acquistare dal 2019 da Tesla. Stellantis, ha spiegato l’amministratore delegato, sarà in grado di “soddisfare autonomamente le normative sulle emissioni di anidride carbonica già da quest’anno”.
Il piano green di Tavares passa anche attraverso la realizzazione di nuove fabbriche di batterie, le cosiddette gigafactory. Due sono già state annunciate: una in Francia, a Douvrain, e l’altra in Germania, a Kaiserslauten. Ma in Europa ne è prevista anche una terza: entro fine anno sarà deciso dove. I sindacati italiani premono affinché la scelta ricada su Mirafiori: c’è da vincere in particolare la concorrenza della Spagna.
“Portare in Italia la gigafactory è fondamentale. Ci consentirebbe di recuperare terreno, in termini di competenze e capacità produttiva, all’interno del nuovo concetto di mobilità. Altrimenti rischiamo di restare ai margini“, avverte il segretario Fim Uliano. “Rappresentiamo una fetta importante del mercato europeo: sarebbe strano se la fabbrica delle batterie venisse collocata in un altro paese europeo”.
Sul punto insiste molto in particolare Giorgio Airaudo, segretario della Fiom-Cgil Piemonte: la fabbrica delle batterie, osserva parlando con TPI, “può consentire di riconvertire quei posti di lavoro” che saranno coinvolti nella transizione ecologica. “Chi avrà le batterie avrà i volumi e avrà i posti di lavoro”.
Il ruolo del Governo Draghi
Secondo i sindacati, però, è il Governo Draghi a doversi attivare con urgenza per convincere Tavares a puntare su di noi. “Se sulla gigafactory il governo non farà una politica aggressiva e perderemo questa occasione, quelli italiani rischiano di diventare gli stabilimenti di riserva d’Europa”, sottolinea Airaudo. “Bisogna far sentire forte il ruolo della politica”, gli fa eco il collega della Cisl Uliano.
In un comunicato la Fiom esorta i ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro ad avviare “un tavolo di politica industriale che affronti la fase di crisi e la transizione tecnologica” perché “a rischio è la tenuta della capacità di innovazione e produttiva e la tenuta occupazionale di un settore strategico e trainante dell’economia del nostro Paese”.
Il 5 maggio il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha parlato di Stellantis rispondendo al question time alla Camera. Il governo, ha dichiarato Giorgetti, “intende richiamare il gruppo Stellantis agli impegni assunti”. Il ministro ha fatto riferimento alle condizioni poste dall’esecutivo Conte 2 nella primavera 2020 quando Fca ottenne un prestito bancario garantito dallo Stato da 6,3 miliardi di euro.
“Gli impegni aggiuntivi, assunti a giugno 2020, restano in vigore anche a seguito della fusione tra Fca e il gruppo automobilistico francese Psa”, ha ricordato Giorgetti. Fra queste condizioni figurano “il proseguimento nell’attuazione dei progetti industriali annunciati a dicembre 2019 (5 miliardi); l’avvio di investimenti ulteriori per 200 milioni; l’impegno a non delocalizzare la produzione dei modelli di veicoli oggetto di industrializzazione nell’ambito del piano; il raggiungimento della piena occupazione entro il 2023, intesa come effettivo impegno nell’attività di tutti i dipendenti senza ricorso ad ammortizzatori sociali”.
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