Fenomeno Great Resignation: negli USA milioni di persone si stanno volontariamente dimettendo dal proprio lavoro
Negli Stati Uniti sempre più lavoratori scelgono di lasciare il posto lavoro per cercare salari più alti e condizioni migliori dopo gli sconvolgimenti della pandemia. Un fenomeno senza precedenti, che si è guadagnato il nome di “Great Resignation” e che, secondo alcuni analisti, promette di cambiare il volto della prima economia al mondo.
Solo nel mese agosto, le dimissioni rassegnate dai lavoratori americani sono state ben 4,3 milioni. Un valore mai registrato dal 2000, da quando l’Ufficio di statistica del lavoro statunitense (Bureau of Labor Statistics o BLS) ha iniziato a pubblicare il dato, e che ha superato il record precedente stabilito solo quattro mesi prima.
Un’accelerazione che dimostra come l’esperienza della pandemia e Il crollo dell’occupazione a causa dell’emergenza Covid-19 abbiano spinto (o costretto) milioni di statunitensi a prendere decisioni radicali sulle proprie carriere lavorative. Le scelte sono state incentivate dalle stesse misure prese dalle autorità statunitensi, che a differenza di quelle europee, hanno dato minore importanza a programmi per preservare posti di lavoro, come la cassa integrazione italiana e la Kurzarbeit tedesca, a favore di aiuti diretti. Una politica che ha però portato a un crollo verticale dell’occupazione nel momento peggiore della pandemia, quando più di un milione di lavoratori al giorno perdeva il posto di lavoro.
Con la ripresa degli ultimi mesi, a essere più colpiti dalle dimissioni in massa sono stati settori spesso caratterizzati da bassi salari e condizioni difficili. In particolare il maggior numero di defezioni è stato registrato nella ricettività e nei servizi di ristorazione, dove le uscite sono arrivate a 892.000, il 7 percento dei lavoratori totali del settore. Una tendenza accompagnata da un aumento sostenuto dei salari per i lavoratori a basso reddito, che crescono ai tassi più alti degli ultimi dieci anni.
Anche se le ricadute della pandemia sull’occupazione sono state avvertite in tutto il mondo, non in tutti i paesi si sono accompagnate a un miglioramento delle condizioni di lavoro. Secondo un’indagine condotta dall’Università di Sheffield e dall’organizzazione Worker Rights Consortium su 1.140 lavoratori tessili in Myanmar, Honduras, Etiopia e India, citata dal Washington Post, circa un terzo dei lavoratori che hanno cambiato lavoro durante la pandemia ha riportato condizioni di lavoro peggiori, inclusi salari più bassi e maggiori rischi.
Un allarme lanciato anche dall’Organizzazione internazionale del lavoro per il Sud America, dove il 70 percento dei posti di lavoro creati negli ultimi mesi sarebbe nel settore informale, mentre la disoccupazione continua a persistere.
Anche nelle economie avanzate, riunite nell’Ocse, la pandemia continua a pesare sull’occupazione. Secondo l’organizzazione con sede a Parigi, nei 38 paesi membri, gli occupati sono ancora 20 milioni in meno rispetto al periodo precedente la pandemia. Di queste, il 70 percento circa sono uscite dalla forza lavoro e non cercano più attivamente lavoro.
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