«Quando decidi di mettere una donna in una carica importante, se è davvero un posto molto prestigioso, poi non ti puoi permettere di non vedere quella persona per due anni. Io da imprenditore ho spesso puntato sugli uomini». Abbiamo tutti ancora in testa le imbarazzanti parole con cui Elisabetta Franchi, proprietaria dell’omonimo brand di moda, ha offeso il ruolo delle donne nella società, aprendo al tempo stesso un dibattito sui modelli culturali di cui avremmo bisogno per raggiungere una vera parità di genere sul posto di lavoro, specie nelle posizioni di vertice. Ora, però, la più importante compagnia al mondo ha scelto come country manager per l’Italia una donna che ha fatto proprio della promozione del lavoro femminile (e più in generale dell’inclusione) una delle principali battaglie della propria vita professionale. Si tratta di Melissa Ferretti Peretti, che da settembre sarà alla guida di Google Italia e che, nei prossimi anni, sarà chiamata ad affrontare sfide che vanno ben oltre il buon funzionamento del comparto italiano del colosso di Mountain View.
Essere ai vertici di Google, oggi, per una donna con la sua storia, significa infatti dover dimostrare che la stessa cultura imprenditoriale delle Big Tech, spesso improntata a una concezione monopolistica e non esattamente “inclusiva” del potere, può evolversi verso un modello il più possibile etico, sostenibile, non solo nel perimetro dei propri confini aziendali ma anche nei rapporti con le compagnie concorrenti.
Nata a Roma nel 1971, dopo aver frequentato l’Assunzione, un istituto scolastico di suore, e il liceo classico Mameli, Melissa Ferretti Peretti si è laureata in Economia alla Sapienza per poi lavorare, dal 1997 al 2003, come Senior Consultant di Accenture, la multinazionale della consulenza strategica e direzionale. Dopo una breve esperienza in Vodafone, la svolta della sua carriera è arrivata nel 2003, con l’ingresso in American Express. Qui il suo percorso è stato folgorante, portandola nel 2015 ad assumere la carica di country manager per l’Italia.
Melissa Ferretti Peretti è figlia di due scenografi di fama internazionale, Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti. «Non metteva mai in luce questo aspetto – ci racconta Paola, una sua ex dipendente in American Express – Anche se poi capitava che andasse a prendere il padre a Cinecittà, e allora capivi, così come quando entravi nel suo studio e vedevi le foto dei genitori con Fellini, De Sica e altri grandi protagonisti del cinema italiano». Grande lettrice, in particolare di romanzi russi, tra le più grandi passioni della nuova country manager di Google ci sono anche l’equitazione e la fotografia. Ma non solo. «È una grande tifosa della Roma – ci dice ancora Paola – e ama molto la moda e i gioielli. Non è certo un “low profile’” ma è comunque una persona alla mano, pronta alla battuta, che sa distinguere i momenti lavorativi da quelli personali. È rimasta in contatto con molti ex dipendenti, a conferma della sua cura del rapporto quotidiano con le persone che la circondano in azienda».
Proprio in American Express, Melissa Ferretti Peretti ha avviato una serie di iniziative per promuovere la parità di genere e l’inclusione. La più importante si chiama “Women in the Pipeline & at the Top”, un progetto volto a formare la leadership femminile, con l’obiettivo di aumentare la presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali. I risultati si sono visti, dal momento che in American Express la quota di donne manager ha raggiunto il 40 per cento, mentre quella delle dipendenti addirittura il 70. La compagnia, nel corso degli anni, ha ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti, non solo sul fronte della parità di genere, ma anche nelle classifiche che valutano il clima lavorativo e il benessere dei dipendenti sul posto di lavoro.
«Lei ha sempre cercato di valorizzare tutti, in particolare noi donne», ci racconta Paola. «Ribadiva sempre che in Italia gli uomini, a parità di qualifica, hanno maggiori opportunità, per questo i profili ricercati in azienda tendevano a riequilibrare la situazione e a favorire l’ingresso di figure femminili. Ma oltre a questo, ha dato grande risalto al tema dell’inclusione in senso ampio, organizzando ad esempio campagne su temi Lgbt. Devo dire che si è mostrata lungimirante anche sulla questione dello smart working, che in American Express era partito molto prima della pandemia. Noi dipendenti infatti potevamo lavorare tre giorni da remoto e due in presenza, ma soltanto se la posizione lo richiedeva, altrimenti era possibile anche lavorare da remoto in maniera continuativa. In generale è sempre stata un capo esigente, ma il rapporto che aveva coi dipendenti era quotidiano ed era sicuramente una persona che sapeva riconoscere i punti di forza e di debolezza delle persone che lavoravano con lei».
L’impegno di Melissa Peretti sul tema dell’inclusione ci viene confermato anche da Francesca Vecchioni, presidente di DiversityLab, organizzazione no profit che si occupa di diffondere la cultura dell’inclusione e che, a questo fine, lavora a stretto contatto anche con diverse realtà aziendali. «Abbiamo portato avanti numerose iniziative con la dottoressa Peretti – racconta a Tpi – tra cui un progetto di comunicazione in cui Melissa raccontava cosa significa per lei la ricchezza nella diversità, e come si può fare la differenza su questi temi quando si ricoprono ruoli apicali, come nel suo caso. Il suo pregio, a mio modo di vedere, è di aver compreso l’importanza di questi temi quando ancora non erano al centro del dibattito pubblico. Ricordo che già diversi anni fa mi diceva: “Continuo a ritrovarmi in panel dove sono l’unica donna su 20 uomini”. Credo che l’inclusione, non solo quella di genere, sia fortemente integrata nel suo modello di leadership, che la ritenga importante non solo da un punto di vista etico, ma anche per i benefici che può portare a un’organizzazione, a un’azienda e alla società nel suo complesso».
Nonostante alcuni casi virtuosi, però, in Italia una reale parità di genere sui luoghi di lavoro sembra essere un obiettivo ancora lontano. Il già citato caso Elisabetta Franchi, del resto, ha portato allo scoperto alcuni modelli culturali duri a morire, e che sembrano confermati dai dati più recenti. «Sebbene si registri una attenzione crescente alle questioni di genere in ambito lavorativo, in Italia la situazione è ancora abbastanza critica», spiega a Tpi Martina Rogato, fondatrice di Esg Boutique, società di consulenza che supporta le aziende in percorsi di sostenibilità e diversity, e presidente del gruppo di lavoro sul Clima di Women 7, il forum ufficiale del G7 sulle questioni di genere. «Le organizzazioni internazionali ci dicono che mancano ancora 136 anni per raggiungere la parità di genere nel nostro Paese, mentre i dati Istat registrano come durante la pandemia quasi 100mila donne abbiano perso il lavoro. E ancora, l’Eurostat attesta che durante l’emergenza Covid l’Italia è scivolata al terz’ultimo posto in Europa per numero di giovani donne impiegate. Tutto questo significa che, se da un lato l’attenzione mediatica e istituzionale al tema è in crescita, dall’altro siamo ancora lontani dal diventare un Paese europeo realmente sviluppato».
In questo contesto, per Martina Rogato le iniziative di personaggi come Melissa Ferretti Peretti possono dare un reale impulso al cambiamento solo se incardinate in una strategia di più ampio respiro. «Va benissimo fare un’accademia, come quella realizzata dalla dottoressa Peretti in American Express, per promuovere la leadership femminile. Tuttavia, non avremo mai un vero cambiamento finché saranno solo poche aziende illuminate a spendersi su questi temi. Sarebbe importante, oltre a un impegno dello Stato, che anche le realtà imprenditoriali formassero delle cordate e iniziassero a sviluppare progetti condivisi. Solo in partnership, gli impegni delle aziende diverranno anche propulsori di cambiamento».
In un’intervista rilasciata a Repubblica nel 2020, Melissa Ferretti Peretti spiegava che, a suo parere, «il problema delle donne che lavorano e che vogliono far carriera non sono i figli» bensì, almeno in certi casi, l’ambizione. «Due anni fa abbiamo condotto (come American Express, ndr) un’indagine interna sia in Italia che negli altri Paesi dove operiamo scoprendo che solo una donna su tre delle intervistate era fiera di definirsi ambiziosa. L’ambizione non è una cosa negativa, le si attribuisce un connotato di narcisismo o di sopravvalutazione di sé stessi, ma non è così, è un concetto legato alla fiducia in sé stessi».
Per Martina Rogato «il dato rilevato da questa indagine promossa dalla dottoressa Peretti è interessante e non va ignorato», tuttavia «si tratta di un problema di modelli culturali. Le donne sono cresciute con lo stereotipo per cui non devono essere ambiziose, perché il loro massimo traguardo deve essere quello di fare le mamme. Come si può chiedere alle donne, e prima ancora alle bambine, di essere ambiziose, se sui libri di scuola ancora si fanno giochi che attribuiscono al papà il lavoro e alla mamma le attività di stiratura e lavaggio dei piatti? Va riformata l’educazione, e bisogna lavorare sul cambiamento culturale».
Come è evidente, in ogni caso, da country manager di un colosso come Google, Melissa Ferretti Peretti dovrà affrontare sfide di portata sistemica, in cui anche il tema del genere si intreccia con questioni più ampie legate al potere esercitato da Big G in moltissimi settori della società: «È bello vedere delle iniziative e un impegno sulla parità di genere, però quando parliamo di colossi come Google, questo deve essere poi seguito da un impegno concreto sui diritti umani a 360 gradi», commenta Martina Rogato. «Ciò significa, ad esempio, chiedersi se i propri algoritmi discriminano le donne, o quali responsabilità si hanno nella divulgazione delle informazioni, specie in Paesi che si trovano in situazioni politiche e di sicurezza delicate. Ci vorrebbe, insomma, un approccio onnicomprensivo su tutti i diritti umani e sul rapporto tra questi e le nuove tecnologie. Non c’è dubbio che Google, in quest’ottica, abbia una responsabilità enorme».