Recovery Fund: tutti i nodi del piano Merkel-Macron
In realtà un po’ di diffidenza c’è. Tanta euforia, ottimismo che non deve mai mancare, ma un pizzico di pragmatismo e analisi non guasta. Prima dello spumante, bisogna aspettare. Abbassiamo i calici. La sorpresa della proposta franco-tedesca di un fondo europeo per la ripresa presentata da Angela Merkel ed Emmanuel Macron ha suscitato in qualcuno incredulità. Non tanto per le sue dimensioni ma per il messaggio politico.
Si tratterebbe – il condizionale è d’obbligo – di 500 miliardi di euro in trasferimenti reali, con il denaro che dovrebbe essere erogato sotto forma sovvenzioni ai paesi più “bisognosi” anziché sotto forma di prestito (e quindi debito pubblico per il paese che li riceve). Questo, qualora confermato, spezzerebbe un tabù importante, segnando un passo avanti verso l’unione fiscale, seppure a livello embrionale. Un vero e proprio punto di svolta.
Ma come ha detto la stessa cancelliera tedesca Merkel, “circostanze straordinarie richiedono misure straordinarie”. Gli aiuti “non saranno rimborsati dai destinatari” ma “dagli Stati membri” nel loro complesso, per citare le parole del presidente francese Macron. Merkel ha sottolineato che le risorse arriverano dal bilancio dell’Ue – quindi non prestiti – per poi essere messe a disposizione dei Pesi e dei settori più colpiti dalla pandemia.
La Commissione europea, invece, proporrà un proprio piano, probabilmente basato sull’iniziativa franco-tedesca, il 27 maggio, con l’obiettivo di raggiungere un accordo in occasione della riunione del Consiglio Europeo del 18-20 giugno. Ma la strada e tutt’altro che dritta e pianeggiante.
Tutti gli Stati membri dell’Unione europea dovranno concordare la via da seguire, compresi i “frugali” della linea dura, ossia Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca ( e sino a pochi giorni fa la stessa Germania): sì, pronti ad aiutare i paesi più colpiti dalle ricadute del Coronavirus, ma attraverso prestiti anziché con finanziamenti “a fondo perduto” come li definiremmo all’italiana.
È bene chiarire subito che i negoziati non saranno facili, come tutti i tavoli internazionali che si rispettino, ma forse il terreno comune stavolta lo si può davvero trovare. Forse. La pressione del mercati – oltre chiaramente quella dei paesi del Sud, che spingono per questo genere di solidarietà comunitaria – dovrebbe far guadagnare terreno all’iniziativa: un margine di manovra nel quale provare a trovare non il perfetto degli affari ma, quantomeno, il migliore dei compromessi. Sì, compromessi: linfa vitale del mestiere della politica e dell’arte della diplomazia.
Nel documento di tre pagine, ad ogni modo, di prestiti a fondo perduto non si parla, tantomeno di una somma pari a 100 miliardi a disposizione dell’Italia. Somma nata da indiscrezioni riconducibili a Palazzo Chigi. Resta da capire, infatti, quale sarebbe la modalità di allocamento di queste risorse. Tale ammontare andrebbe reperito sui mercati finanziari, per poi essere girato agli Stati, ma la modalità di assegnazione è tutt’altro che chiara in questa fase.
Il debito comune, quindi, su base europea, andrebbe spalmato a partire dal 2021 per l’inizio del nuovo bilancio europeo di durata settennale, il Multiannual Financial Framework, con ottime possibilità che possa avere una durata che vada ben oltre questo settennato per non pesare eccessivamente sulle finanze che sono sì comunitarie, ma basate – va ricordato – principalmente sui versamenti degli Stati membri.
I dubbi sono diversi. I paesi che hanno ottenuto di più in termini di sussidi negli anni pagheranno di più? Come verranno stabilite le quote di pagamento alla luce di questi trasferimenti? Inoltre, chiaramente, saranno presenti delle condizionalità, come dei vincoli alla spesa e delle riforme che si sarebbero dovute fare da qualche decennio.
Anche se la proposta franco-tedesca dovesse venire accettata per intero, sarebbe comunque necessario del tempo prima della sua implementazione. Nel frattempo, è probabile che la Bce rimanga in modalità di “allentamento monetario” ancora per un bel pezzo, per evitare a tutti i costi un inasprimento delle condizioni finanziarie. I mercati – con la speranza degli Stati più deboli – si aspettano che la Bce ampli il suo programma di acquisto di emergenza pandemica PEPP a partire magari con un annuncio già dal prossimo mese.
Tornando alla proposta abbozzata sull’asse Parigi-Berlino, questo fondo altro non sarebbe che debito a lungo termine dell’Ue e non dei singoli Stati. Come anticipato, si tratterebbe di sovvenzioni, non prestiti, alle regioni e alle industrie più colpite dalla crisi, secondo criteri ancora da stabilire e non presenti nel testo. Il veicolo giuridico si dovrebbe comunque trovare nell’applicazione dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Insomma, quantomeno sul Trattato, da questo punto di vista, non si parte da zero.
Questa proposta di fondo di recupero è comunque un grande passo avanti, ben oltre le aspettative. La Commissione europea presenterà le proprie idee il 27 maggio, con l’obiettivo di raggiungere un accordo al Consiglio Ue del 18-20 giugno. Il piano Ue dovrebbe essere molto più cospicuo nell’ammontare, ben oltre i 1.500 miliardi, ma chiaramente la proposta in questione sarà una base su cui lavorare, visto il peso politico ed economico di Parigi e Berlino.
Tutti gli Stati membri dell’Unione europea dovranno concordare la via da seguire, compreso il gruppo del cosiddetto”quattro frugali” (Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca), che finora sono stati sempre fortemente contrari a fornire sovvenzioni ai paesi dell’Europa meridionale. Questi hanno già fatto sapere, fra una dichiarazione e l’altra, che di passare denaro “a gratis” non ne vogliono nemmeno sentire parlare.
Se i quattro “frugali” cambieranno idea non è chiaro, ma da un punto di vista strettamente economico, non vi è dubbio che, se ci fosse una ripresa significativa anche nel meridione europeo, ne potrebbero beneficiare anche loro. Ci sono comunque ancora molti dettagli che devono essere risolti, tanti buchi e tasselli ancora assenti.
Per Emanuele Canegrati, senior analyst di BP Prime, “la proposta franco-tedesca di istituzione di un fondo europeo per la ricostruzione è senz’altro una buona notizia per l’Europa”. “Ma prima di poter dare un giudizio completo è necessario attendere dei dettagli sulla natura finanziaria del fondo, dettagli che nella proposta non sono scritti”, osserva.
I dubbi, per l’economista, sono più d’uno. “Le domande principali sono: chi metterà sul tavolo questi 500 miliardi? Arriveranno dal bilancio europeo? Se sì, vuol dire che questo dovrà essere ampliato (con maggiori risorse da parte dei singoli Stati membri)? Oppure l’Europa si indebiterà sul mercato attraverso i famosi Eurobond, che in questo caso dovranno però essere rimborsati, sempre con le risorse degli Stati membri?”. E ancora, Canegrati si chiede: “In questo caso, come pensa la Commissione di effettuare un collocamento di bond per un ammontare pari a mezzo trilione di euro?”. “A queste domande è necessario avere al più presto una risposta, dal momento che, per come è formulata attualmente, la proposta non mancherà certo di sollevare molte discussioni e critiche tra Stati”.
Maurizio Mazziero, della Mazziero Research, sottolinea come “se da una parte si è fatto un piccolo passo verso un minimo di unione fiscale con debito comune, dall’altra saranno poi comunque tutti a pagare, nelle diverse forme, essendo comunque l’Ue un’unione di Stati membri”. “Tale fondo andrà infatti ripagato ai mercati e la proposta non è dettagliata”, fa notare Mazziero.
Per Raffaella Tenconi, fondatrice di ADA Economics,“la proposta franco-tedesca e le negoziazioni sul budget europeo 2021-2027 indicano che il rescue fund sarà simile e collegato al budget, finanziato da un mix di debito e ‘own resources’, il che vuole dire altre tasse europee. E avrà una minimissima parte di fondi a fondo perduto, simile ai fondi di coesione europei dove la percentuale di copartecipazione può essere ridotta al minimo ai paesi in gravi crisi economiche”.
Secondo Tenconi, “la grandezza del rescue fund non sarà oltre i 1.500 miliardi e ci saranno delle condizioni generali associate all’uso”. “Non mi pare che ci siano le condizioni politiche né istituzionali per altre versioni più ambiziose e purtroppo senza uno sviluppo a livello istituzionale la fragilità del progetto europeo è destinata a crescere nei prossimi tre anni”.
Vedremo come andrà a finire, la speranza è che il Recovery Fund sia più in forma di sussidi, che non creino altro debito per le già scassate finanze italiche. Ma bisogna andarci piano. Prima di stappare lo spumante bisogna aspettare. Abbassiamo i calici, per ora.
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