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    Secondo l’OCSE l’Italia sta crescendo a rilento

    Di Federico Lobuono
    Pubblicato il 20 Ott. 2017 alle 18:56 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 09:39

    In un recente rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) dal titolo “Strategia per le competenze” e dedicato esclusivamente all’Italia stilato in arco di tempo di due anni si è giunti alla conclusione che negli ultimi quindici anni i risultati economici del nostro Paese sono stati lenti.

    Uno dei numeri interessanti di questa analisi è che solo il 20 per cento dei nostri connazionali tra i venticinque e i trentaquattro anni è laureato a fronte di una media OCSE del 30 per cento. Inoltre vengono descritte le difficoltà che i neo laureati incontrano con la prima occupazione che molte volte non ha nulla a che vedere con quello che si è studiato parliamo infatti di un buon 35%.

    Uno dei motivi può essere il fatto che in Italia il posto di lavoro si cerchi e quasi sempre si ottenga attraverso canali non “istituzionali” ma per mezzo di relazioni di amicizia o di parentela e se a questo ci aggiungiamo il vecchio sogno non sempre raggiungibile del posto fisso si fa presto a capire come non si vada poi molto per il sottile.

    A dar manforte a questa mia opinione c’è anche il fatto che qui da noi le imprese a gestione familiare sono più dell’85 per cento del totale e rappresentano il 70 dell’intera occupazione, va da sé che molto spesso i manager di queste imprese non hanno le dovute competenze per essere al passo con i tempi e nemmeno l’esigenza di crearsele.

    Può poi accadere che in quella stessa azienda ci sono laureati che quelle competenze le hanno e fanno gli operai, ma se da un lato non si può certo biasimare chi fa lavorare nella propria azienda un figlio o un nipote solo in quanto tale e senza le dovute abilità non deve però poi sorprendere se queste aziende non riescano a competere nel tempo.

    Se è vero – e questo ci viene riconosciuto nel rapporto OCSE – che gli Italiani hanno una grande capacità di imparare sul campo e di risolvere i problemi che si palesano all’improvviso, non si può però davvero credere che si possa affrontare il nuovo mondo soltanto con l’esperienza sul campo, altrimenti a questo punto tanto varrebbe chiudere le scuole e le università.

    A proposito di università, l’OCSE le bacchetta sonoramente perché incapaci di fare sistema con le esigenze del mondo del lavoro e gli ultimi scandali non ne migliorano di certo l’immagine né l’effettiva capacità di veicolare uomini, donne e talenti, anzi direi il contrario se a questo ci aggiungiamo che esiste e direi insiste ancora un netto divario tra il Nord ed il Sud del paese fino al punto che tra uno studente di Bolzano ed uno della Campania c’è un divario pari a più di un intero anno scolastico la frittata è completa.

    C’è poco da fare non usciamo bene da questa indagine anche se l’OCSE riconosce che le ultime riforme messe in atto dal governo, su tutti il Jobs act definito “una pietra miliare del processo di riforma” ma anche la Buona scuola in effetti essendo io stesso un fruitore entusiasta dell’alternanza scuola lavoro non posso che confermare la bontà, industria 4.0, Garanzia Giovani e la legge Madia sulla P.A. vanno nella giusta direzione basti pensare che più di 850 mila posti di lavoro sono stati creati dalla sinergia di tutte queste operazioni.

    Tuttavia non possiamo credere che il più sia stato fatto perché non è così, molto altro bisogna fare per promuovere le competenze insistendo soprattutto su di una maggiore coinvolgimento di giovani e donne, su di una più vasta innovazione e anche su di una formazione in continua evoluzione tutte imprese immani in un Paese che a parole vuole emanciparsi, ma che nei fatti si mette di traverso ogni volta che qualcuno cerca di portarlo nel mondo moderno.

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