Dottor Tabarelli, lei in questa crisi si è calato nei panni di Cassandra, “profeta di sventura”.
«Non me lo dica. Sono solo uno che lavora nell’energia da 35 anni e che fa delle analisi, cercando di capire cosa accadrà».
Un esperto che però in questo momento sta dicendo delle verità molto scomode.
«Cerco di limitarmi semplicemente a fare il mio lavoro».
Però lei è l’unico che parla in maniera esplicita di «razionamento» inevitabile per gas e, forse, anche per l’energia elettrica.
«Vero. È probabile che ci si arrivi, nella parte più fredda della stagione: poi le spiegherò bene quando, e perché».
E se si stesse sbagliando?
«Rischio la mia credibilità professionale, ma ho una responsabilità anche civica nel dire quello che so e capisco».
Sembra molto sicuro di sé.
«Lo sono. Non ha idea di quanti colleghi mi chiamano, tra l’altro sempre in privato».
Per dirle cosa?
«“Prosegui così, la tua analisi è giusta”».
Allora mi spieghi perché si ritrova da solo, a fare questa previsione.
«Mi faccia fare una premessa, prima di entrare nel dettaglio del merito».
Prego.
«Avrà notato che, a differenza della pandemia, nessun collega o esperto contesta la mia tesi».
Per il governo Draghi «razionamento» sembra una parola tabù.
«Forse mi sbaglio io, forse loro. Ma preferiscono restare coperti».
E perché non lo fa neanche lei?
«A quanto pare mi sto esponendo molto, perché essere contro l’establishment è sempre un rischio. Ma mi aiuta il fatto di dire la verità, quella che tutti gli addetti ai lavori conoscono».
Chi intende per «establishment»?
«In primo luogo il Governo, che ha usato toni prudenti e rassicuranti. Ma poi penso ai tantissimi esponenti della classe dirigente, e degli addetti ai lavori del settore, tutti muti».
Perché?
«Sono consapevoli che la partita dell’energia deciderà vita o morte nei prossimi anni, in tutta Italia. E ovviamente anche in Europa».
Quindi lei pensa che la crisi dei prezzi non si risolverà entro il 2023?
«Di questo siamo sicuri: ci vorranno almeno tre anni. Dirlo può sembrare sgradevole, così come spiegare le altre verità scomode di questa vicenda. A meno che non scoppi la pace».
Ad esempio?
«Le dico le più importanti, e poi ci torniamo per spiegare».
Vada.
«La prima: imporre un tetto al gas non solo è impossibile, è inutile».
La seconda?
«Dato che non si può imporre un tetto, l’unica via possibile è quella del sostegno diretto dei governi a imprese e famiglie».
Quello che TPI sta chiedendo in queste ore con una petizione.
«Fate bene».
Il governo tedesco ha detto: «Andiamo verso giorni drammatici».
«Concordo. Ed è giusto dire, come fate anche voi, che l’unico intervento possibile è quello dello Stato. Per questo Berlino ha stanziato 200 miliardi. Ma attenzione: occorre fermare la domanda, anche con razionamenti».
La terza verità la porta in odore di eresia…
«Senza gas e senza combustibili ed energia di derivazione fossile non ce la possiamo fare in nessun caso».
Le danno del «lobbista degli idrocarburi».
«Sono lobbista della gente che ha bisogno di gas per non morire di freddo. Si può dire quello che si vuole, ma non si può modificare la realtà: senza le centrali a carbone, il gas e il petrolio, noi non superiamo l’inverno».
Davide Tabarelli, 62 anni, professore a contratto di ingegneria industriale. Gli italiani hanno imparato a conoscerlo, nei talk e nei telegiornali, come il presidente di Nomisma Energia, e come uno dei pochi analisti che si espone nelle previsioni sulle conseguenze della crisi energetica: «Mi sono laureato con una tesi sui mercati degli idrocarburi, mi occupo di questo da un sacco di tempo».
Lei ha fatto tre affermazioni impegnative: proviamo a spiegarle una per una.
«Il punto di partenza è semplice. Anche se noi in Italia non vogliamo riconoscerlo, siamo impegnati in una sorta di guerra contro la Russia, che fino ad oggi era il nostro principale fornitore di energia. Questo ha delle conseguenze inevitabili».
Dice?
«Non lo capisci solo se neghi la realtà. Come puoi pensare di fare la guerra ad uno e a illuderti che quello poi ti assista?».
Ma noi non abbiamo fatto nessuna dichiarazione di guerra!
«Io non sono un politico o un diplomatico, vedo i problemi solo per quello che riguarda le mie competenze».
E cioè?
«É da un anno che mandiamo armi in Ucraina e non potevamo fare altrimenti. Questo, per il nostro principale fornitore, equivale a una dichiarazione di guerra. Il resto è una banale conseguenza».
Lei pensa che si interromperà definitivamente la fornitura con la Russia?
«Nei giorni in cui parliamo siamo arrivati a toccare il record di cinque giorni di interruzione totale di forniture dalla Russia. E la settimana scorsa sono saltati per aria il North Stream 1 e 2. Questo ci dice che i russi prima o poi chiuderanno o rallenteranno sensibilmente il flusso».
Lei è convinto che siano stati i russi a sabotare il gasdotto, confessi.
«È l’ipotesi più probabile, ma la guerra è sempre un caso, difficile da capirci qualcosa. Ma cosa contasse se invece fossero stati gli americani?».
Cambia molto.
«Non sugli effetti industriali. Io non leggo questi eventi da politico, ma da tecnico. Una volta che è accaduto, non importa la causa. Il tubo che collegava l’Europa alla Russia non funziona più. Punto».
I russi hanno alternative di mercato?
«Non comparabili. In primo luogo perché in Asia non pagheranno mai come pagavamo noi. E poi perché ci vorranno anni prima che riescano a posare dei nuovi tubi che vadano in Asia. Lo stesso problema, però, esiste per noi».
E quanto tempo ci vorrà per ristabilire i livelli di fornitura e di costo pre-crisi?
«I prezzi non torneranno bassi, o ai livelli pre-crisi, prima dei prossimi tre anni».
Ne è certo?
«No, mi sono sbagliato troppe volte».
E l’emergenza approvvigionamento energetico, per l’Italia, quando finirà?
«Non prima di questi tre anni. Prezzi e forniture sono e resteranno connessi. In fondo è solo matematica, ed è anche un conto molto semplice da fare».
Facciamolo.
«Noi abbiamo importato nel 2021 dalla Russia 29 miliardi di metri cubi di gas. Maggiori volumi arrivano oggi dall’Algeria, dall’Azerbaijan, dal Qatar e dagli Stati Uniti, ma siamo al massimo, non può arrivare di più… Tutto quello che arrivava dalla Russia verrà meno. E poi sorgeranno gli altri problemi».
Quali?
«Tutto è iniziato con la rivolta di Piombino contro il rigassificatore. Due giorni fa abbiamo avuto la protesta degli abitanti di Sulmona».
Spieghiamolo.
«Gli abitanti della città stanno protestando perché non vogliono il tubo di trasferimento e la piccola centrale di compressione della Snam per sostenere la rete».
Loro dicono che non serve.
«Lo decide la più grande azienda di trasporto gas in Europa, se permette. É una posizione priva di senso per due motivi. Il primo è che la centrale non crea nessun problema di sicurezza. Il secondo è che la rete del gas è come un palloncino».
Cioè?
«Non basta che ci sia il gas, perché arrivi in modo uniforme dappertutto. Serve che ci sia anche la pressione necessaria, soprattutto d’inverno, perché circoli nella rete».
Facciamo i conti. Non basta il gas algerino?
«No. Le ho detto che sono venuti meno 29 miliardi di metri cubi».
La nostra produzione nazionale?
«Non ne parliamo: è solo il 4% estraiamo solo 3 miliardi di metri cubi, sarebbe già tanto arrivare al 4 miliardi».
E l’idroelettrico?
«Da lì arriva normalmente il 20% della produzione elettrica, pari a circa 9 miliardi di metri cubi equivalenti. Ma quest’anno c’è un calo del 15% perché ha piovuto meno».
E gli impianti, di nuovi?
«Non si riesce più a fare nulla».
Cioè?
«Prova a progettare un lago artificiale oggi. Ti arrestano».
Dall’Africa arriveranno altri 10 miliardi di metri cubi.
«Ma solo a pieno regime! Quest’anno è tanto se dall’Algeria arriviamo a 4 e con tutti gli altri a 6 miliardi di metri cubi…».
E poi?
«Vede, il nostro è un Paese lungo. E la domanda del gas è per due terzi concentrata al Nord».
Quindi il palloncino non può essere mai “sgonfio”.
«In Sicilia, dove arriva il tubo dall’Algeria, non mancherà mai nulla. Ma già per arrivare qui a Bologna ce n’è di strada da fare nella rete».
È vero che lei vuole un generale Figliuolo del gas?
«Non lo voglio io, sarà inevitabile in caso di razionamento».
Perché?
«Servirà un commissario militare che controlli il fabbisogno, i flussi di fornitura, gli effetti dei risparmi».
Il gas continua ad arrivare dall’Azerbaijan.
«E meno male, perché ce ne danno altri 4 miliardi».
E abbiamo riacceso le centrali a carbone, non basta?
«Da lì arrivano massimo 3 miliardi di metri cubi di sostituzione. Il carbone in Italia non è mai andato oltre il 15%».
E dai rigassificatori?
«Quelli già esistenti? Ne abbiamo tre: Rovigo, Livorno e Panigaglia: io calcolo altri 4 miliardi. Ma di più è impossibile».
E dai nuovi, che vengono installati a Ravenna e a Piombino?
«Quest’anno? Possiamo mettere serenamente zero».
Il ministro Cingolani aveva anche parlato, per Piombino, di un impianto pronto a inizio 2023.
«Impossibile. Per la messa in opera e l’attivazione se ne parla il prossimo anno».
Le piace essere provocatorio?
«Mi piace dire cose di cui sono sicuro, quindi scordatevi che Piombino entri in attività per quest’anno. E probabilmente anche Ravenna».
Sommando tutto quello che lei dice non si arriva a 29 miliardi di metri cubi.
«Io credo che manchino 9 miliardi. Capisce che non si può stare tranquilli?».
Cosa intende?
«Se fa freddo e se manca la Russia, due eventi quasi sicuri, il razionamento è inevitabile. Poi, dita incrociate e speriamo non accada».
Perché molti la incoraggiano a lanciare gli allarmi ma non parlano?
«C’è timore di creare panico».
E lei cosa risponde?
«Sarebbe più difficile gestire un’onda di sfiducia se i cittadini si sentissero ingannati».
E poi?
«Credo che negli apparati dei ministeri, su cui si appoggia la politica, ci sia un problema di autentica non comprensione. E molti hanno il timore di far schizzare i prezzi, con dichiarazioni allarmanti».
Lei non si pone il problema?
«I mercati funzionano stranamente a volte, in particolare se c’è una guerra».
Come funzionano?
«Quando manca il 40% di una materia prima da un anno all’altro, quello che dicono Tabarelli o Pinco Pallo conta zero».
Comanda la scarsità?
«Certo! I prezzi continueranno a ballare. E nessuno potrà dire agli algerini, o a chiunque altro: “Ora mi dai il gas a 100 euro perché lo abbiamo deciso noi”».
Mi dica quando è come si può arrivare al razionamento.
«Provi a vedere la questione giorno per giorno. Il nostro fabbisogno di rete è 350 o 400 milioni di metri cubi al giorno a fine gennaio».
C’è una variabile?
«Sì, il freddo. Ma ora per comodità diciamo che ci servono 400 milioni al giorno».
In autunno che succede?
«Nulla, perché ora la domanda è di 100. Abbiamo le riserve piene. Più o meno i problemi iniziano a fine gennaio, quelli che per il Nord sono i giorni più freddi».
Con quanto anticipo sapremo?
«Una settimana, come per le previsioni metereologiche più affidabili».
E poi?
«In un giorno, mettiamo intorno al 28 gennaio, fa freddo freddo: la domanda passa da 250 a 400 milioni al giorno. E scatterà un allarme nella rete».
Però razioneranno solo la produzione industriale.
«Se la Russia taglia la fornitura, la Snam sospenderà per alcune ore la fornitura ad alcune grandi industrie che sono in un piano».
Quindi si salvano le case private?
«Non è sicuro. Ricorda l’immagine del palloncino? Se manca la pressione mancherà anche il gas».
Ma dove?
«Magari in grandi città del Nord come Milano dovremo fare dei razionamenti anche nelle case private».
Lei ricorda un precedente?
«No, perché non esiste. Non c’è mai stato un calo di fornitura del gas in tutta la storia dalla rivoluzione industriale fino ad oggi».
È incredibile.
«Nei protocolli di emergenza è previsto che si cominci da alcune industrie che hanno dichiarato la loro disposizione alla “Interrompibilità temporanea” – la chiamano così – del servizio».
E cosa ottengono in cambio?
«Un risarcimento. Ma se i miei calcoli sono giusti questo non basterà».
E a quel punto cosa accade?
«Il palloncino è meno sgonfio al Nord. Per tenere la rete in tensione si chiuderà anche ai privati. È ipotizzabile che possano essere 2-3 ore, dalle 14.00 alle 17.00».
Quando mai è accaduto qualcosa di paragonabile.
«Nel 2003, per via di un albero caduto in Svizzera: l’Italia ebbe il più grande black out della storia».
Lo avevo rimosso.
«Se lei va a leggere i giornali dell’epoca scoprirà che fu una interruzione di 24 ore che aveva convolto 60 milioni di persone».
Motivo?
«Il più futile. Avevano sbagliato una manovra, sfilacciando dei cavi, e passando a una linea e non all’altra».
Ma lei pensa che rischiamo anche sull’elettricità?
«Il 50% della nostra elettricità viene dal gas. Quindi è più che possibile, si tratta di una conseguenza molto probabile».
E non possiamo compensare con l’idroelettrico?
«Assolutamente no. Vede, se viene meno il sistema elettrico di un Paese è come se collassasse il sistema nervoso di una persona».
Questo è già accaduto negli anni Settanta.
«É vero. Ma non avevamo i router, i wi fi, il tele-lavoro. Tutti i dispositivi che non possono essere spenti. Gli ospedali e le scuole. Ma anche le catene del freddo delle industrie alimentari».
Uno scenario di guerra. Ma perché non lo ha mai raccontato in questi termini?
«Perché nessuno ne lo ha mai chiesto. Sono stupefatto, e confesso di avere dei seri problemi di identità, forse mi sbaglio io».
I tedeschi stanno peggio di noi?
«Dipendono di più dal gas nell’industria, ma hanno meno energia che viene dal gas: il 25% contro il nostro 35%».
Cosa può impedire questo scenario?
«Prima di tutto che la guerra finisca, che si faccia la pace in Ucraina. Le pare possibile?».