Giovedì 17 gennaio il Consiglio dei ministri ha varato il decreto legge su pensioni e reddito di cittadinanza.
Dubbi e perplessità continuano ad essere espressi in merito alla effettiva sostenibilità delle due misure e, in questo senso, TPI ha chiesto alcuni chiarimenti a Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e dirigente del Partito democratico che, durante l’esecutivo di Romano Prodi, fu il primo a progettare il sistema delle “quote” per quanto riguarda le pensioni.
Le quote le ho inventate insieme a Romano Prodi nell’ormai lontano 2007. Il concetto di “quota”, all’origine, aveva una caratteristica, e cioè la flessibilità. Nel senso che, ad esempio, quota 95 poteva essere la somma di 60 anni di età e 35 di contributi, oppure di 58 anni di età e 37 di contributi versati.
I due addendi, quindi, composti da età anagrafica e anzianità contributiva, potevano alzarsi e scendere. La cosiddetta “quota” di Salvini ha invece un numero fisso: 38 anni di contributi e 62 anni di età. In quel caso la somma fa 100, ma se un lavoratore consegue il traguardo dei 38 anni di contributi a 63 anni di età la quota diventa 101, se l’obiettivo lo raggiunge a 64 anni la quota diventa 102 e così via. È evidente che non si tratta della formula originale.
In ogni caso io non penso che possiamo opporci ideologicamente a questa misura, perché è una nostra invenzione, una bandiera del Pd che abbiamo lasciato nelle mani della Lega.
La nostra opposizione si deve quindi esercitare sul funzionamento di questi strumenti, e la critica va avanzata su un punto: la quota di Salvini aiuta ad andare in pensione una certa categoria di lavoratori, cioè i lavoratori maschi delle grandi imprese del nord che hanno il vantaggio di avere una lunga carriera contributiva. 38 anni di contributi versati senza nessun vuoto oggi non sono più alla portata di tutti.
Quota 100 quindi, da sola, non basta per l’obiettivo della flessibilità del sistema previdenziale. Non a caso noi abbiamo chiesto di rendere strutturale l’Ape Sociale e il governo ha risposto parzialmente alla nostra domanda prolungando di un solo anno questo strumento.
Perché lo abbiamo chiesto? Mentre Quota 100 taglia fuori chi ha carriere contributive corte perché fa un lavoro discontinuo – penso ad esempio alle donne, all’edilizia, al turismo, al lavoro stagionale o di cantiere, ai giovani del lavoro precario, ai disoccupati – l’Ape Sociale va invece in soccorso di queste categorie. Con l’Ape Sociale i requisiti anagrafici sono più alti di un anno (63), ma quelli contributivi sono di due anni più bassi (36); in tal modo si arriva a quota 99.
Inoltre per quanto riguarda i disoccupati, l’Ape Sociale prevede che si possa accedere alla pensione a 63 anni con soli 30 anni di contributi. Se poi il disoccupato è donna e ha due figli è possibile avere uno sconto di altri 2 anni e accedere al pensionamento con 28 anni di contributi e 63 anni di età.
Anche a differenza di altri esponenti del mio partito – come Renzi, che non ho apprezzato quando si è pronunciato contro questi strumenti, Ape, Quote e reddito di cittadinanza – non penso che le due misure si contrappongano, ma che siano complementari.
Una aiuta l’altra, ma una da sola non basta. Il suggerimento è di procedere con emendamenti che migliorino l’Ape Sociale, nel senso che è necessario includere nei lavori gravosi l’edilizia, i lavori stagionali e poi cancellare il vincolo che consente ai disoccupati di andare in pensione con 30 anni di contributi ma a patto che abbiano utilizzato gli ammortizzatori sociali come la Naspi.
Anche se non li hanno utilizzati, bisogna far in modo che i disoccupati di lungo periodo possano andare in pensione.
In più io dico che il governo si è dimenticato della nona salvaguardia degli esodati e questo è molto grave. Noi dobbiamo chiedere che il problema venga risolto, perché ci sono 6 mila lavoratori che, a causa della Fornero, non hanno più il lavoro dal 2012 e non hanno ancora la pensione. Questa era una promessa di Di Maio non mantenuta.
In realtà la Fornero non viene superata. Si dà, casomai, un altro colpo alla Fornero, così come lo abbiamo dato noi con l’Ape Sociale e le otto salvaguardie. Quota 100 è però sperimentale e dura soltanto 3 anni: per superare davvero la legge Fornero bisognerebbe rifare l’impianto normativo.
Io sono contento se mandiamo le persone di una certa età in pensione, ma temo che i soldi non bastino. I conti che mi erano stati fatti nella scorsa legislatura sono molto semplici: Quota 100 costava 6 miliardi ed era una proposta che io avevo avanzato, analoga, e sulla quale Salvini si era detto d’accordo.
Per i 41 anni di contributi sufficienti per andare in pensione, indipendentemente dall’età, erano stati chiesti altri 6 miliardi. Per prolungare di 3 mesi Opzione Donna 2 miliardi e mezzo.
Quindi temo che quello che viene messo a disposizione non sarà sufficiente, tanto che la Ragioneria ha messo le mani avanti e ha parlato di un monitoraggio bimestrale. Nel caso in cui il numero di domande sia superiore alle risorse messe a disposizione si attueranno dei tagli compensativi.
Mi tremano le vene ai polsi, perché prima mandiamo in pensione a 62 anni e poi togliamo l’indennità di disoccupazione? Sarebbe davvero disastroso.
È evidente che il meccanismo inventato dai gialloverdi è astuto. Le misure partono il primo aprile e la prima verifica della Ragioneria sarà fatta il primo giugno, quando le elezioni europee si saranno già svolte. Potranno quindi sempre dire “noi ci abbiamo provato ma i soliti burocrati ci hanno messo i bastoni fra le ruote”.
Quello che stupisce è che a me sono stati fatti dei conti, mentre a Salvini e Di Maio ne sono stati fatti altri e si finisce per avere due quotazioni parallele.
Il reddito di inclusione – REI – è farina del sacco del governo Renzi, anche questo va sottolineato: noi non possiamo opporci al fatto che arrivino risorse ai più poveri. Questa proposta di Di Maio è un allargamento del reddito di inclusione e anche qui i problemi sono molti, perché il meccanismo che si è messo in piedi sembra difficile da far funzionare, se non una missione impossibile.
I centri per l’impiego si sa che non funzionano, non sono connessi in rete e hanno attualmente 8 mila addetti che dovrebbero passare a 10 mila. Queste nuove figure, i navigator, dovrebbero essere assunti non si sa quando. Si dovrebbero quindi mettere in moto i centri per l’impiego, i comuni, l’Anpal e per fare un’operazione di questo genere occorrono anni.
Anche qui c’è un problema relativo alle risorse, perché nel triennio sono stati messi a disposizione 22 miliardi, ma vogliamo fare due conti complessivi fra reddito di cittadinanza e Quota 100? Includendo anche la pensione di cittadinanza, perché ci sono 2 milioni di pensionati che arrivano fino ai 500 euro mensili e hanno un assegno medio annuo di 3 mila euro. Li dobbiamo portare a 9 mila 360 euro.
Vuol dire che, per arrivare alla pensione di cittadinanza di 780 euro, a ciascuno gli dobbiamo aggiungere 6 mila euro. 6 mila moltiplicato 2 milioni fa 12 miliardi all’anno.
Di Maio ha detto che non saranno 2 milioni perché c’è da togliere chi ha la casa, ed è sceso a 500 mila. 500 mila moltiplicato 6 mila fa 3 miliardi, quindi: 4 miliardi per Quota 100, 6 miliardi per il reddito di cittadinanza, 3 miliardi per la pensione di cittadinanza, in totale fa 15 miliardi l’anno, che per 3 anni diventano 45 miliardi a fronte di 22 miliardi stanziati.
Non ho messo nel conto Opzione Donna, quota 41 e gli esodati.
Quota 41, che era nella mia proposta di legge, mi è stata classificata con un costo oltre Quota 100 di altri 6 miliardi, quindi non so dove si prenderanno questi soldi.
Per quanto riguarda le tempistiche brevi di realizzazione della misura a cui fa riferimento il ministro degli Interni, io penso che anche in questo caso prevarrà “l’effetto annuncio”, poi superate le elezioni europee ci sarà invece “l’effetto delusione” perché tutto quello che è stato promesso non potrà essere mantenuto e attuato.
Prevedo quindi che verranno addossate ad altri le responsabilità di chi fa proposte che non reggono alla prova dei fatti.
Non c’è dubbio. Così come lo farà anche la pensione di cittadinanza. Lei, giovane lavoratrice, potrebbe dire ai suoi genitori: “Mi danno una pensione di 800 euro senza contributi, chiedo al mio datore di lavoro di non versarmeli” e i suoi genitori le risponderanno “figliola, se tu non versi i contributi io non avrò la pensione” perché in Italia c’è il metodo a ripartizione, quindi mi pare un cane che si morde la coda.
Chiarisco e concludo: io non faccio battaglie ideologiche contro la flessibilità delle pensioni che ho voluto io, così come non le faccio contro il reddito di cittadinanza se questo va effettivamente ai più bisognosi.
Ne faccio però una di opposizione e di merito perché temo che queste misure abbiano un tasso di propaganda e di campagna elettorale esagerato e che alla fine non siano in grado di essere attuate per mancanza di risorse e per un insieme di meccanismi farraginosi e impossibili da realizzare anche se avessimo a disposizione i computer della Nasa.