Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Economia
  • Home » Economia » Pensioni

    Pensioni, Quota 100: costi per 33 miliardi e nessun turnover generazionale

    È quanto emerge dall'analisi dell'esperto di previdenza Alberto Brambilla

    Di Giulia Angeletti
    Pubblicato il 26 Mar. 2019 alle 11:51

    Alberto Brambilla, esperto in materia di pensioni e Presidente del Centro studi Itinerari previdenziali, è tornato a parlare di Quota 100 sul Corriere della Sera analizzando – sulla base dei dati Inps del 21 marzo – benefici e perdite della nuova riforma voluta dalla Lega di Matteo Salvini e contenuta nel “decretone” insieme al reddito di cittadinanza.

    Il superamento della Legge Fornero è infatti stato uno dei principali cavalli di battaglia della campagna elettorale di Salvini per le politiche dello scorso 4 marzo, nonché uno degli obiettivi raggiunti dall’esecutivo Lega-M5s. Con Quota 100, permettendo ai lavoratori di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 di contributi, l’esecutivo vuole anche velocizzare il turnover generazionale e stimolare così le nuove assunzioni.

    La domanda, a questo punto – a cui ha cercato di dare una risposta proprio Brambilla facendo un’analisi sulla base dei dati relativi alle domande giunte finora per il pensionamento anticipato – è se i benefici di Quota 100 si stanno cominciando ad intravedere.

    La risposta, in effetti, al momento sembra essere più no che sì per diverse ragioni, anche se per valutare con certezza gli effetti della nuova riforma bisogna attendere ancora qualche mese.

    Brambilla ha innanzitutto sottolineato quelli che sono i costi della riforma previdenziale, i quali si attestano intorno ai 30-33 miliardi, una cifra decisamente alta. “Si può stimare un costo totale dell’operazione attorno ai 30-33 miliardi, tra mancato flusso di contributi in entrata nella casse dell’Inps e maggiori spese per le prestazioni anticipate, ipotizzando 300 mila persone che approfittino di quota 100 nel triennio con durate medie dell’anticipo tra i 4,5 anni e un anno e mezzo”, ha infatti spiegato il presidente del Centro Studi.

    Brambilla ha anche sottolineato – definendola “l’unica buona notizia” – che se Quota 100 non verrà rinnovata dopo il primo triennio di sperimentazione, quindi nel 2021 come prevede anche l’esecutivo, allora i suoi “effetti” si esauriranno nel 2026.

    In quanto poi al ricambio generazionale, Brambilla ha spiegato che “considerando che il punto di massima espansione dell’occupazione si è verificato nel maggio-giugno 2018 con 23.345.000 occupati per poi ritracciare a fine 2018 a 23.269.000 (76.000 in meno) e, alla luce dei «flussi mensili» di nuove assunzioni e nuove dismissioni di personale che stanno mostrando un segno negativo, le aspettative di un discreto rimpiazzo di neopensionati sono modeste”. Ciò senza considerare il fatto che, come sottolineato dall’esperto, “siamo in presenza di ciclo economico negativo”.

    Secondo Brambilla, ancora, “con quota 100, l’intero costo che poteva essere posto a carico del sistema produttivo (lavoratori e imprese) sarà pagato dallo Stato e quindi da tutti noi”. Quindi, qual è il risultato? Che “la maggior parte dei circa 53.000 lavoratori dipendenti del settore privato che al 21 marzo hanno presentato domanda per quota 100 daranno luogo a pochissimi posti di lavoro per i giovani, forse meno di un 10%“.

    “Quanto ai 17.200 autonomi – ha aggiunto l’esperto – è più facile che una volta andati in pensione, intesteranno l’attività ai familiari e proseguiranno in «ombra». Molti, soprattutto al Sud, avranno anche diritto all’integrazione al minimo per gli scarsi contributi versati”.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version