Per provare a spiegare ai miei studenti come cambia il mondo dei trasporti dopo il Covid ho dovuto costruire un modello. Immaginate due sorelle italiane – chiamiamole Paola e Chiara – che si svegliano la mattina a casa della madre e che, dopo una biciclettata in centro, vanno a pranzo dalla nonna. La madre di Paola e Chiara è un architetto benestante, il padre un operaio in cassa integrazione. Entrambe le sorelle hanno una bici della Bianchi. E sia la madre sia la nonna hanno una cucina dell’Ikea, persino lo stesso modello.
Ebbene, però, gli stessi prodotti, addirittura gli stessi modelli, prima e dopo la pandemia hanno cambiato luogo di produzione, e tra Paesi lontanissimi tra loro. La bicicletta Bianchi di Paola – comprata prima del Covid – viene dall’Asia. Quella di Chiara – post-pandemia – dall’Italia. La cucina della madre – acquistata prima dell’emergenza virus – è fatta in Cina, quella della nonna – del 2021 – in Turchia (anche se persino maniglie e rifiniture sono uguali). Gli esempi che ho scelto non sono casuali: sia Bianchi che Ikea, come mille altre aziende, hanno già annunciato un cambio di politica produttiva: nella lingua degli anglicismi si dice “reshoring” e “nearshoring”, ossia tornare a produrre in casa (come per le biciclette) o almeno vicino (come per i mobili). Sono piccoli segnali premonitori di un grande terremoto: la pandemia ha ucciso l’equilibrio della globalizzazione, che durava da un quarto di secolo, e ne sta costruendo uno nuovo…..
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