Mes, cosa cambia con la riforma del Fondo Salva-Stati? La guida
La maggioranza di governo si è spaccata, sotto i colpi delle opposizioni e soprattutto di Lega e Fratelli d’Italia, sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità di cui in questi giorni si stanno discutendo le ultime modifiche: ma cosa cambia con la riforma del cosiddetto Fondo Salva-Stati?
Il mese di dicembre 2019, dopo circa due anni di lavoro, sarà essenziale per il futuro della riforma, dal momento che l’Eurogruppo (la riunione dei ministri finanziari dei 19 Paesi della zona Euro) dovrà dare l’ok definitivo alla stesura del testo. Che poi, per entrare in vigore, dovrà essere ratificato dai Parlamenti dei singoli Stati membri dell’area Euro.
Nel pomeriggio di lunedì 2 dicembre 2019, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è presentato in Parlamento per rispondere alle domande, prima dei deputati e poi dei senatori, riguardo alla riforma del Mes. In Aula, il premier ha respinto con forza le accuse delle opposizioni: “Il trattato – ha assicurato – non è stato ancora firmato. E i ministri del precedente governo, al contrario di quanto hanno dichiarato negli ultimi giorni, sapevano della trattativa dell’Italia sul Mes”.
Mes, cosa cambia con l’approvazione della riforma
Ma cosa cambierebbe se venisse approvata la riforma che ha di fatto monopolizzato il dibattito politico in Italia nelle ultime settimane? Bisogna intanto fare un passo indietro, fino al giugno 2019: è stato in quel periodo che l’Eurogruppo ha trovato l’accordo su una bozza di riforma del Fondo Salva-Stati. L’obiettivo? Completare l’Unione bancaria, rafforzare l’Unione economica e monetaria e contribuire alla creazione di una sorta di Fondo Monetario dell’Unione europea in grado di aiutare i Paesi a rischio default.
Con la riforma, il Mes acquisirebbe nuove funzioni. L’obiettivo è quello di rendere utile il Meccanismo non soltanto in caso di emergenza (come è stato al tempo della crisi della Grecia, nel 2010), ma in ogni momento.
Come? Rendendo il Fondo Salva-Stati un’istituzione che presta denaro ai Paesi in crisi che non riescono a ricevere prestiti. Se le modifiche venissero approvate, dunque, sarebbero introdotte linee di credito precauzionali più efficaci, utilizzabili in caso un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati. In tal caso, non sarà necessaria la firma di un Memorandum come quello che firmò la Grecia, ma basterà una lettera di intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità.
Ma le novità non finiscono qui. Con la riforma, il Mes otterrebbe una funzione di paracadute finale (backstop) del fondo di risoluzione unico delle banche (SRF). Cosa significa? Che ci sarebbe un fondo, finanziato dalle banche europee, di circa 70 miliardi, disponibile in casi di difficoltà per un istituto bancario dell’Eurozona. Un modo per rendere le banche dell’Eurogruppo – soprattutto quelle dei Paesi più deboli – più al riparo da possibili crack finanziari.
La terza novità è anche quella più controversa e riguarda la riforma delle “clausole di azione collettiva” (Cacs) negli eventuali casi di ristrutturazione del debito sovrano di uno Stato membro. In altre parole, dal 2022 sarebbe più semplice per uno Stato ottenere l’ok della platea degli azionisti per approvare la ristrutturazione del proprio debito sovrano, perché dalle attuali regole che richiedono una doppia maggioranza si passerebbe a una maggioranza unica.
Il punto è controverso perché con la ristrutturazione del debito, un Paese in difficoltà potrebbe dover restituire meno di quello che deve ai suoi creditori. Ma questi ultimi, essendo a conoscenza di questo rischio, potrebbero chiedere interessi più alti ai Paesi che considerano più a rischio. Proprio come l’Italia.