Gli Stati Uniti sono uno dei Paesi in cui si mangia più carne al mondo. Gli americani, secondo il 18esimo rapporto annuale Power of Meat pubblicato dal Meat Institute e dalla Food Industry Association, preparano da quattro a cinque cene a casa durante una settimana tipo, l’87% delle quali (quattro a settimana) contiene una porzione di carne. Un consumo enorme che viene soddisfatto da un altrettanto rilevante produzione. Il tutto nonostante il grande aumento dei prezzi nel settore.
Ciò farebbe pensare che allevare bestiame negli Usa sia fonte di grandi guadagni. Sbagliato. Chi è alla base della produzione, il semplice allevatore, da tempo è in difficoltà. Le cause, secondo molti, sono da ricercare in chi si occupa della macellazione e del confezionamento della carne che poi finisce sugli scaffali dei supermercati americani. A controllare il settore infatti sono appena quattro aziende. Mega-aziende che nella loro pancia hanno tanti altri marchi che, secondo i maligni, aiutano a “confondere” i consumatori.
Sui banconi appaiono tanti loghi diversi. Ogni bistecca o lombata ha un’azienda che l’ha macellata, imballata e stampato il proprio logo sulla confezione, ma se non ci si ferma all’apparenza si nota che molte di queste aziende fanno capo quasi sempre ad una delle Big Four.
I quattro grandi trasformatori nel settore della carne bovina statunitense sono: Cargill, un’azienda globale di materie prime con sede nel Minnesota; Tyson Foods Inc, la più grande azienda di carne degli Stati Uniti in termini di vendite; Jbs Sa, con sede in Brasile, il più grande produttore di carne del mondo; e National Beef Packing Co, controllata dal produttore brasiliano di carne bovina Marfrig Global Foods Sa.
Anatomia di un dominio
Questi quattro giganti controllano, legalmente, la gran parte del mercato del confezionamento della carne negli Stati Uniti. Acquistano il bestiame, lo macellano e lo impacchettano.
Ma quando hanno preso il sopravvento? Secondo i dati del Dipartimento federale dell’Agricoltura (Usda), la quantità di bestiame macellato da queste aziende è aumentata dal 25% nel 1977 al 71% nel 1992. Il loro successo fu dovuto al fatto che erano (e sono tutt’ora) in grado di ridurre i costi di lavorazione di ciascun animale gestendo operazioni più grandi anziché strutture più piccole.
Nel 1977, l’84% dei bovini statunitensi veniva macellato in impianti che macellavano meno di mezzo milione di animali all’anno. Nel 1997, gli impianti di quella categoria videro la loro quota scendere al 20%. Insomma, le quattro grandi aziende sono diventate anno dopo anno “indispensabili”. Una dipendenza di cui i cittadini degli Stati Uniti si sono accorti nel 2019, 2020 e 2021.
Prima un grande stabilimento di Tyson Foods a Holcomb, in Kansas, ha chiuso per quattro mesi a seguito di un incendio, avvenuto il 9 agosto 2019, che ha ridotto la produzione di carne bovina in tutto il Paese e rimosso un mercato dove gli agricoltori potevano vendere il proprio bestiame. La seconda interruzione si è verificata quando il Covid-19 si è diffuso, causando la chiusura dei macelli a livello nazionale per contenere i focolai del virus tra i lavoratori. La terza, infine, è datata 30 maggio 2021, quando Jbs ha rilevato un attacco informatico sui suoi sistemi che ha portato alla chiusura temporanea di tutti i suoi stabilimenti di carne bovina negli Stati Uniti. In queste tre occasioni ovviamente i consumatori hanno notato degli aumenti dei prezzi…
Secondo i dati più recenti dell’Usda, le Big Four oggi hanno in mano circa l’85% di tutto il bestiame macellato negli Stati Uniti. Ciò, secondo un’inchiesta del giornale online Vox, ha contribuito a mettere in difficoltà le piccole aziende, i famosi ranch americani: il monopolio di quelle quattro grandi aziende permette loro di controllare indirettamente i prezzi, dall’acquisto del bestiame alla vendita del prodotto lavorato.
I quattro giganti del settore non acquistano i capi alle aste, che negli States sono un’istituzione e che mettono in competizione più produttori e acquirenti, il che si traduce in un aumento di valore per la merce, ma direttamente alla fonte con dei contratti blindati. In questo modo si crea un effetto negativo a catena in cui chi ci guadagna veramente è solo la grande azienda a discapito dei piccoli allevatori.
Negli ultimi cinquant’anni infatti, nonostante l’enorme produzione e consumo di carne (a prezzi sempre più alti) nel Paese, circa il 40% degli allevatori americani di bestiame ha cessato le attività. Sono andate perse centinaia di migliaia di piccole o medie imprese famigliari. Tutte, o quasi, divorate dal mercato controllato dalle Big Four. Insomma, per gli allevatori indipendenti rimanere in attività in America, anno dopo anno, è diventato sempre più difficile.
Arringa difensiva
Della vicenda si è interessata anche la politica. Con la Commissione giudiziaria del Senato che, per approfondire la tematica ha convocato le parti in causa tra cui Shane Miller, presidente del gruppo Tyson Fresh Meats, che conta più di 120mila dipendenti divisi in 32 Stati.
«Nelle comunità rurali di tutta l’America – ha dichiarato Miller – ogni anno investiamo più di 15 miliardi di dollari con 11mila aziende agricole indipendenti che ci forniscono bovini, suini e polli. Contiamo su questi agricoltori indipendenti e vogliamo che abbiano successo, perché senza una fornitura costante di bestiame non siamo in grado di gestire la nostra attività. Pertanto – ha continuato il manager – quando il mercato subisce choc significativi e inaspettati, siamo lì per supportare i nostri partner. Ad esempio, con l’aggravarsi dell’impatto della pandemia, abbiamo sostenuto i produttori fornendo premi forfettari, superiori al prezzo di mercato, per il bestiame raccolto. Abbiamo offerto ai nostri allevatori di bovini e suini uno sgravio per gli animali che non soddisfacevano le specifiche prestabilite e abbiamo anche dato ai produttori di suini che avevano accordi sui prezzi del mercato in contanti la possibilità di passare a un accordo di prezzo misto con esclusione dei contanti».
«Alcuni anni fa – ha raccontato ancora Miller – uno dei nostri clienti più importanti di carne bovina speciale ha subito una prolungata interruzione dell’attività che ha creato una forte svalutazione nel mercato premium del bestiame. Ciò significava che i produttori indipendenti non avevano acquirenti alternativi per i loro bovini di nicchia, di categoria premium. Abbiamo appreso dai nostri partner che altre aziende si sono allontanate dal loro impegno di accettare la consegna, lasciando che questi produttori indipendenti assorbissero le perdite. Tyson ha scelto di non farlo. Sebbene non avessimo acquirenti, continuammo a pagare, e a pagare un premio, per il loro bestiame specializzato. Abbiamo assorbito le perdite invece di scaricarle sui nostri partner produttori indipendenti».
Scenari cupi
Insomma, secondo i quattro colossi, non ci sarebbero tanti problemi. Secondo i dati dell’Usda, però, i prezzi al dettaglio della carne bovina si aggirano attualmente intorno ai livelli record di circa 8 dollari (7,57 euro) per libbra (0,45 Kg).
«I costi della produzione, compresa la manodopera e i trasporti, sono saliti alle stelle», ha dichiarato Brian Earnest, economista presso l’associazione di credito agricolo Cobank.
Le scorte di fieno secco sono scese ai livelli più bassi dal 1954, con poco più di 70 milioni di tonnellate. Gli allevatori hanno liquidato le mandrie da riproduzione, e questo ha portato ad avere le scorte di bestiame più basse degli ultimi nove anni. Nel 2022 la macellazione delle vacche da carne è aumentata dell’11%, per un totale di 3,95 milioni di capi. La cifra è la più alta dal 1996. Secondo Earnest, i prezzi del bestiame saliranno a livelli record nei prossimi mesi. Soldi che però non finiranno nelle tasche dei piccoli allevatori. Ma indovinate un po’ di chi…
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