Pochi giorni fa la Commissione europea ha pubblicato un documento che descrive gli obiettivi e le caratteristiche generali delle sue proposte di riforma della tassazione delle imprese. Queste proposte non sono ancora dettagliate, ma contengono già dei passaggi di rilievo e probabilmente controversi, in particolare per quanto riguarda la distribuzione geografica dei profitti delle società multinazionali.
Quest’ultimo problema era già stato affrontato da proposte passate, fallite per l’opposizione di paesi a tassazione bassa dove le imprese, anche attraverso trasferimenti fittizi, allocano i propri profitti. Secondo la Commissione gli sviluppi degli ultimi anni rendono urgente l’introduzione di una base imponibile europea (ossia di una definizione unica dei profitti tassabili).
Il gettito totale nella UE derivante da questa base imponibile, anche se fosse tassata con aliquote diverse dai vari paesi, verrebbe poi suddiviso tra i paesi membri in base alla distribuzione delle effettive attività di ciascuna società sul territorio europeo (misurata dal volume delle vendite e altri indicatori).
Questo approccio, detto formulaic approach, è utilizzato per ripartire i profitti societari negli USA tra i vari Stati. Grazie a questo meccanismo si allenterebbe la concorrenza fiscale a ribasso che ha caratterizzato l’Europa negli ultimi decenni, impedendo alle imprese di spostare i profitti in giurisdizioni più favorevoli. Sempre con questo fine, la Commissione sostiene anche l’introduzione di norme che impediscano l’utilizzo di società di comodo (shell companies) per aggirare la normativa fiscale.
La proposta della Commissione è stata sviluppata in parallelo a quella americana di una tassa minima globale del 21 per cento sui profitti societari. Se entrambe le riforme fossero approvate, la Commissione le implementerebbe con apposite Direttive. Ma, se la proposta americana fallisse, la Commissione potrebbe procedere comunque con la sua, dato che quest’ultima non richiede una modifica delle aliquote.
Tuttavia, come sottolineato dai media, è verosimile che anche questa volta la proposta della Commissione venga bloccata dai paesi che beneficiano dello status quo. Infatti, le materie relative alla tassazione sono tra quelle che richiedono l’unanimità dei paesi UE.
Il superamento di questa regola si potrebbe ottenere in due modi. Una prima ipotesi – considerata dalla precedente Commissione ma meno percorribile – è quella di implementare un nuovo processo decisionale che coinvolga di più il Parlamento, oppure che richieda soltanto una maggioranza qualificata, per esempio attraverso la cosiddetta “passerella”. Ovviamente, gli Stati membri che godono di una posizione di vantaggio grazie allo status quo non hanno incentivi a rinunciare al proprio potere di veto.
In alternativa, nel passato la Commissione aveva esplorato – e potrebbe prendere in considerazione anche questa volta – l’uso dell’articolo 116 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Questo articolo permette l’approvazione di riforme comunitarie, in qualunque campo, con procedure ordinarie (cioè senza il requisito dell’unanimità) a condizione che venga dimostrata una disparità nelle disposizioni legislative tale da falsare le condizioni di concorrenza nel mercato unico. Quindi, la seconda strada più percorribile sarebbe quella di dimostrare che le norme fiscali in vigore falsano le condizioni di concorrenza e di modificarle tramite procedura ordinaria. Tuttavia, questo articolo non è mai stato invocato e potrebbe creare tensioni tra i paesi membri.
Oltre alla questione della distribuzione geografica della base imponibile, il documento della Commissione contiene altre proposte generiche mirate a rendere i sistemi di tassazione delle imprese più equi ed efficienti. In generale, l’obiettivo della Commissione sarebbe di ridurre il peso relativo delle tasse sul lavoro e dei contributi sociali aumentando quello delle tasse ambientali e su profitti e capitali, utilizzando l’occasione per uniformare ulteriormente la normativa tra paesi, in modo da rinforzare il mercato unico.
Più nello specifico e per quanto riguarda la tassazione delle società, secondo la Commissione la nuova definizione europea della base imponibile dovrebbe anche incentivare le imprese a servirsi maggiormente di equity (azioni) come strumento di finanziamento degli investimenti, invece del debito verso le banche.
Infine, si propone di rendere pubbliche e accessibili le aliquote effettive sui profitti pagate dalle grandi società, contribuendo a creare un’eventuale pressione da parte dell’opinione pubblica sulle imprese che adottano gli schemi elusivi più aggressivi.
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