I supplenti precari a TPI: “Pagamenti in ritardo, più conveniente prendere reddito di cittadinanza”
“Il 27 gennaio ho ricevuto il pagamento di novembre e dicembre, ma sono tra i più fortunati, perché altri colleghi non sono stati ancora pagati”. Sergio Vinci, siciliano che lavora a Venezia, è uno dei cosidetti “supplenti brevi“, precari dell’insegnamento che vengono chiamati tramite una graduatoria a sostituire temporaneamente i colleghi nelle scuole.
A dispetto del nome, queste supplenze possono arrivare a coprire un periodo di tempo molto lungo, anche di molti mesi. Ma dal momento che il sistema di pagamento è diverso rispetto a quello degli altri insegnanti (inclusi i supplenti che hanno un incarico annuale), i “supplenti brevi” ricevono lo stipendio con un ritardo sistematico che arriva anche a tre mesi. Dal momento che molti di loro sono insegnanti del Sud che si spostano in altre Regioni per lavorare, il ritardo si aggiunge alle spese che questi precari devono sostenere sia per spostarsi sia per pagare l’affitto.
“Il problema principale è la mancanza di chiarezza e trasparenza”, racconta Sergio a TPI.it. “Ci pagano praticamente sempre con un mese di ritardo, a volte anche due o tre. Mi vergogno a dire che il ministero non mi ha pagato. Noi abbiamo lavorato, chiediamo più che altro rispetto per la dignità di noi docenti”.
“Lavorare senza retribuzione per mesi, soprattutto se insegni in una Regione diversa dalla tua, si traduce in un costo”, continua. “Un costo che spesso sono i nostri genitori a dover sostenere. A me lavorare piace, ma da un punto di vista strettamente economico sarebbe più conveniente stare a casa e percepire il reddito di cittadinanza”.
Per chi ha una supplenza annuale (fino al 30 giugno o al 31 agosto), il ritardo del pagamento non avviene, perché la scuola lo autorizza una volta soltanto. Invece per le supplenze più brevi occorre un’autorizzazione mensile da parte delle segreterie scolastiche (c.d. emissione speciale). I tempi della burocrazia però possono essere molto lunghi, e questo determina il ritardo del pagamento.
Al danno del ritardo nei pagamenti all’inizio di quest’anno si è aggiunta anche la beffa: dal momento che gli ultimi stipendi del 2019 sono stati pagati nella seconda metà di gennaio 2020, a questi supplenti non è stata riconosciuta la detrazione da lavoro dipendente, quindi si sono visti decurtare lo stipendio di alcune centinaia di euro rispetto ai colleghi.
“Capisco che il procedimento è questo, ma bisognerebbe almeno dare delle spiegazioni a questi docenti. Siamo molti e sparsi in tutta Italia. Noi ringraziamo perché in qualche modo lavoriamo, ma dall’altro lato dovrebbe essere la scuola a ringraziarci, perché grazie a noi la scuola può assicurate la continuità della didattica”, sottolinea Sergio, che ha scritto alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina per segnalare il problema.
“Anche lei è siciliana e anche lei è un’insegnante, penso che sia passata dalla mia stessa situazione”, dice.
La ministra, o qualcuno del suo staff, gli ha risposto con alcuni messaggi (che TPI.it ha potuto visionare). Gli ha assicurato che è a conoscenza della questione e che il ministero si è già attivato per capire come risolvere il problema. Ad oggi, tuttavia, non risultano essere state avanzate delle ipotesi di soluzioni.
Anche Guglielmo*, insegnante residente a Napoli, che viaggia ogni giorno per andare a lavorare a Roma, denuncia lo stesso problema. “Come tanti altri supplenti pendolari precari, devo fronteggiare i costi relativi allo spostamento quotidiano. Ma il punto non è tanto questo”, aggiunge, “il punto è che noi siamo lavoratori. Siamo di fronte al paradosso di essere dipendenti pubblici, ma di ricevere il pagamento dopo due mesi. E non abbiamo neanche la certezza sui tempi in cui arriverà”.
La soluzione, secondo Guglielmo, sarebbe che le segreterie rispettassero i termini per l’autorizzazione, velocizzando i tempi, oppure che la procedura sui pagamenti sia perfezionata.
“Molti di noi sono persone altamente qualificate”, si sfoga. “Alcuni, come me, hanno anche dottorati di ricerca e hanno ricevuto assegni di ricerca, ma insegnano perché ci sono delle difficoltà oggettive nella ricerca del lavoro. Eppure l’atteggiamento del ministero è quello di trattare noi supplenti, precari storici della scuola pubblica, come l’ultima ruota del carro. Non è prevista alcuna corsia privilegiata neanche per i concorsi”.
“Veniamo trattati come lavoratori ‘usa e getta’.”, sostiene, “La scuola ci prende quando ne ha bisogno, ci fa lavorare tre o quattro anni, ma quando non ha più bisogno di noi ci rispedisce a casa”.
Antonino Maisano, supplente siciliano che lavora al Nord Italia, su questo punto è meno netto. “Purtroppo il sistema delle supplenze e del precariato è questo, sappiamo a cosa andiamo incontro”, dice a TPI.it. “Non penso di essere un lavoratore ‘usa e getta’. La situazione inoltre cambia molto in base alla classe di concorso”.
Antonino si reputa fortunato, perché ha trovato un collega che lo ospita. “Altrimenti dovrei pagare, oltre al viaggio, anche l’affitto, dando una caparra, e sostenendo tutte le spese senza sapere quando arriverà il primo stipendio. Forse dopo tre mesi”.
“Ad oggi non so quando prenderò lo stipendio di febbraio, mese che ho frazionato in 4 contratti. Un mio collega è stato un po’ più fortunato perché ha ricevuto un incarico fino al 30 giugno e riceve mensilmente lo stipendio, a parità di prestazione ed esperienza”, spiega. “È quasi come se facessimo un prestito senza interessi allo Stato. Questo ti fa perdere la fiducia verso il sistema scolastico”.
Intanto i precari della scuola hanno lanciato uno sciopero per il prossimo 17 marzo, sostenuto dai sindacati FLCGIL, CISL, UIl, SNALS e Gilda. Nei giorni scorsi infatti si è consumata una rottura fra sindacati e Ministero dell’istruzione riguardo ai provvedimenti in via di definizione sui concorsi per la scuola. La ministra Azzolina, in carica da meno di due mesi, ha senza dubbio materiale su cui lavorare.
*Il nome è di fantasia perché la persona intervistata ha chiesto di mantenere l’anonimato