Foggia, il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori migranti
“A Foggia con i pomodori funziona a cottimo. Più raccogli e più sei pagato. Sono quattro euro e cinquanta a cassone. Poi, per ogni cassone che si riempie, una parte devi darla a chi ti ha trovato il lavoro. E a lui vanno anche cinque euro per il trasporto. A fine giornata, quello che porti a casa dipende da quanta forza hai. E un conto è se sei giovane, un altro se inizi a non esserlo più. Ecco come funziona il sistema del caporalato”. In Capitanata, in Puglia, sta per aprirsi la stagione della raccolta, spiega a TPI Raffaele Falcone, sindacalista della Flai Cgil. I braccianti migranti arrivano da fuori, da tutta Italia. Secondo le ultime stime, nelle campagne della regione ci saranno 179mila stagionali, di cui 45mila di origine straniera, i più esposti a forme di violenza e sfruttamento.
“Una carneficina. Per gli sforzi, si muore nei campi”, continua. Dove si lavora di continuo, con le temperature estive che toccano i quaranta gradi. Solo la scorsa settimana, nel leccese, un ottantenne è stato denunciato: due ragazzi del Ghana, e uno del Senegal, rimanevano sotto il sole fino a undici ore. Senza guanti, senza cappello e senza le scarpe adatte. La paga: un euro la cassa piccola, quattro euro la più grande. È una condizione che Falcone conosce bene. Il sindacato incontra i lavoratori andando tra i campi e nei ghetti, lascia i contatti e spiega a chi possono rivolgersi. “Questa sera abbiamo una riunione a Borgo Mezzanone con i sindacalisti senegalesi”, continua Falcone. Il 31 luglio la Cgil ha organizzato una manifestazione per le strade di Foggia: hanno partecipato un centinaio di braccianti, tutti con la tessera del sindacato, in bicicletta.
Una critical mass, come l’hanno chiamata le organizzazioni che ne hanno preso parte, a sostegno dei ragazzi presi a sassate mentre, la mattina presto, andavano nei campi in bici. “È stato un segnale, contro i caporali e il trasporto con i furgoni. Una risposta del lavoro legale”, spiega Falcone. Quello dei mezzi di spostamento è uno dei primi anelli dello sfruttamento: i caporali reclutano le persone, che non saprebbero come muoversi, e le portano sul luogo di lavoro. Da un punto all’altro della Capitanata, su mezzi non attrezzati e privi di qualunque misura di sicurezza.
I migranti aggrediti “avevano deciso di autodeterminarsi e andare contro i caporali”, prosegue. Vivono in una ex fabbrica, una realtà che funziona da dieci anni e che, per farlo, si è data delle regole: “La comunità è formata da persone che vengono dai ghetti, come Rignano o Borgo Mezzanone. Hanno deciso di non rivolgersi a intermediari: quando il padrone chiede altra manodopera a una persona che già lavora, questa chiama gli amici senza prendere nulla in cambio. Nessuno ha macchine o furgoni, e usano la bici”, spiega Falcone. È in due terribili incidenti stradali che, il 4 e il 6 agosto 2018, sedici braccianti persero la vita nelle campagne del foggiano. Viaggiavano in condizioni estreme e inaccettabili. Il governatore Michele Emiliano ha voluto ricordarli, nel giorno dell’anniversario delle morti.
La regione ha intensificato i controlli e sono una cinquantina, secondo le informazioni fornite dai militari dell’Arma, i furgoni sequestrati nel foggiano nell’ultimo mese. Nel 2018 è stata istituita una task force provinciale dei carabinieri, che lavora insieme al Nucleo Ispettorato del Lavoro, e si concentra sull’individuazione dei caporali. Rispetto a un anno fa, “sicuramente ci sono stati alcuni cambiamenti. I controlli sono aumentati, per esempio. E ci sono stati fermi non solo di caporali ma anche di piccoli imprenditori. Prima non succedeva”, chiarisce Falcone. È il caso di due titolari d’impresa di Foggia, a giugno messi ai domiciliari con l’accusa di sfruttamento del lavoro irregolare. Nella loro azienda agricola, una trentina di braccianti, in particolare migranti, dormivano ammassati in container di lamiera. “Dal punto di vista repressivo, gli interventi si sono intensificati ma a livello preventivo si deve ancora lavorare”, commenta Falcone.
E sulla questione abitativa, la regione è intervenuta inaugurando Casa Sankara, una serie di moduli abitativi per quattrocento braccianti e migranti a San Severo. “Gli alloggi devono essere pensati a partire dalla questione centrale del lavoro. A Foggia si viene per lavorare e un posto in cui tornare a dormire si trova di conseguenza”, spiega Falcone. “Se si offre una soluzione lontana, che azzera la rete lavorativa delle persone, sarà una soluzione poco utile”. Poi, gli sgomberi. Il più recente è stato una parte del ghetto di Borgo Mezzanone: “Chi ha perso la casa, è rimasto sulla pista. Si è solo spostato più in là”.
Adesso, con l‘approvazione del decreto sicurezza la situazione potrebbe peggiorare. “Parliamo di uomini e donne che rischiano di perdere il permesso di soggiorno. Se succede, non potranno più lavorare nella legalità e finiranno nei ghetti. A Borgo Mezzanone, a Rignano. Non potranno essere assunti con un contratto e, pur di lavorare, finiranno per accettare qualunque condizione”.
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