Se gli anziani sono state le vittime del Covid-19 anche a causa delle scelte avventate di alcuni amministratori locali, che hanno trasformato le RSA in ricoveri per ammalati di Coronavirus, dobbiamo ammettere che nemmeno i ventenni se la passano tanto bene. Perché se già l’Italia degli ultimi due decenni non è stata un Paese per giovani, oggi il dibattito pubblico e la classe dirigente fingono che un’intera generazione non esista. Ne sono prova gli strumenti messi a punto dal Governo per la ripresa del Paese, che almeno nelle intenzioni dovrebbe ispirarsi alla ricostruzione dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Il riferimento non va agli Stati Generali che, dichiarazioni e polemiche a parte, sembrano aver prodotto ben poco.
Parliamo del Piano Colao e del “Decreto Aprile”, poi diventato “Maggio”, insomma il decreto per il quale il Presidente del Consiglio Conte ha dichiarato che “non abbiamo impiegato un minuto più del necessario”. Adesso è diventato “Decreto Rilancio”. Vediamo allora da vicino cosa si prevede per la rinascita dell’Italia a favore dei giovani, ma soprattutto chi sono questi giovani. Nel Decreto Rilancio sono presenti misure relative alla cassa integrazione, divieto di licenziamento, contratti a termine, indennità per gli autonomi, bonus lavoro domestico, smart working, emersione contratti di lavoro e regolarizzazione, reddito di emergenza, congedo parentale e bonus baby sitter, permessi per i disabili.
La parola “giovani” compare solo due volte. La prima, quando si introduce l’assunzione, attraverso un contratto a tempo determinato della durata massima di quindici mesi, di “figure sanitarie e tecnico-specialistiche di età non superiore a 29 anni”. Provvedimento un po’ debole, se si considera la gravità della crisi che abbiamo vissuto e il ruolo ricoperto dal personale sanitario, spesso e volentieri precario. Si parla poi di giovani in relazione al piano di investimenti straordinario nell’attività di ricerca, volto a istituire nuove borse di studio per i dottorandi. Non ci sono riferimenti all’inserimento e alla stabilizzazione nel mondo del lavoro per chi ha tra i 25 e i 34 anni. È presente, all’art. 88, un approfondimento dedicato al “Fondo Nuove Competenze”, stanziato presso l’ANPAL e dedicato a chi un’occupazione già ce l’ha.
Una disparità di trattamento di cui non si comprende la ratio, soprattutto in virtù degli ultimi dati Istat che pongono la disoccupazione giovanile, nella fascia 15-24, al 23,5% (ad aprile era al 20,3%), mentre se consideriamo l’intervallo 25-34 il tasso è dell’11,9%. Qualcuno dirà che si tratta di un calo, peccato che sia aumentata la percentuale dei giovani inattivi, cioè di chi ha smesso di studiare e rinunciato a cercare un lavoro: tra i 15 e i 24 anni il tasso di inattività è del 78,3%, e tra i 25 e i 34 anni è pari al 31,6%. Esiste dunque un’intera categoria di giovani scomparsa dai radar degli interventi per la rinascita e di cui ci si ricorda una volta all’anno, quando l’Istat diffonde il tradizionale comunicato stampa sui dati aggiornati.
Provando a concentrarci sulla parola “università”, scopriamo che c’è un intero Capo dedicato alla questione, il IX (seppur composto da soli tre articoli: 236-238). Per fornire alle Università i mezzi e gli strumenti per affrontare il post pandemia, si stanziano 1,4 miliardi di euro. Non si affronta però un problema che dovrebbe essere centrale nell’agenda politica, se si considerano i dati forniti dallo Svimez: circa 9.500 studenti potrebbero non immatricolarsi nei nostri atenei, di cui 6.300 nel Mezzogiorno e i restanti 3.200 nel Centro Nord. La causa? Mancanza di fiducia nel sistema universitario e nella possibilità di trovare lavoro dopo la laurea. Come si può ignorare del tutto una questione così grave e profonda per il futuro dell’Italia?
E che dire degli stage? L’importanza che il Decreto Rilancio riconosce a questo strumento è pressoché nulla: la parola “stage” non è presente nel testo, mentre la parola “tirocinio” compare solo due volte, e mai in relazione all’inserimento dei ragazzi nel mondo del lavoro. Del tutto assente qualsiasi voce su “apprendistato” e “apprendisti”. Ragionamento simile per i capitoli “formazione” e “istruzione” che, seppur presenti nel corpus, non si riferiscono ai nostri giovani. Un grande invito ad arrangiarsi in solitudine accompagna chi ormai è fuori dal sistema formale di istruzione e formazione. Ci si pone dunque in continuità con le mancanze del Piano Colao, nel quale non vi erano riferimenti concreti e di immediata attuazione per i giovani millennials e della generazione Z, se non qualche auspicio generale in chiave di obiettivi da perseguire, senza indicazione di misure concrete da attuare.
Insomma, i grandi assenti di questa crisi pandemica venivano almeno nominati, se ne riconosceva la presenza, gli si dava una pacca sulla spalla e tanto basta. Continuiamo a chiederci come mai l’azione di governo, il cui scopo dichiarato è quello di far ripartire il Paese, non preveda alcun incentivo che favorisca l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Un simile silenzio dovrebbe produrre un rumore assordante. Ma pur di non udirlo, chi governa e le stesse opposizioni hanno deciso di nascondere la testa sotto la sabbia e ignorare il problema. Sono diventati così un po’ come quel tale che, non sapendo che fare con la polvere, la nasconde sotto il tappeto e finge di non vederla. Forse è arrivato il momento di indicare quella strana montagna che emerge da sotto il tappeto. Voi come la chiamereste?
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