L’intreccio politico e societario tra Roma e Parigi continua ad aggrovigliarsi e non sembra lasciare scampo a una soluzione che possa soddisfare entrambe le parti.
Di mezzo ci sono interessi economici e commerciali che rischiano di sbilanciare l’equilibrio dei rapporti di forza tra Italia e Francia. Sembrerebbe che, pur di salvaguardare i propri interessi, nessuno dei due paesi sia disposto a scendere a facili compromessi.
Ma come si è arrivati a questa situazione di tensione? Lo scontro avviene sostanzialmente su due fronti: da un lato il caso Fincantieri-STX, e dall’altro Telecom-Vivendi.
La questione Fincantieri-STX
I rapporti tra Italia e Francia hanno iniziato a incrinarsi quando, lo scorso luglio, il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, aveva annunciato la nazionalizzazione temporanea e preventiva di STX-France, la società che gestisce i cantieri del porto francese di Saint-Nazaire.
I primi di gennaio, Fincantieri – azienda pubblica italiana che si occupa di progettazioni e costruzioni navali – si era aggiudicata all’asta il 66 per cento del capitale di STX-France, detenuto dalla società sudcoreana di STX Offshore & Shipbuilding – attiva anch’essa nel settore delle costruzioni navali –, mentre il restante 33 percento sarebbe restato proprietà dello stato francese.
Tra i pretendenti per la società sudcoreana, erano presenti il gruppo olandese Damen Shipyard, un fondo d’investimento britannico, la società malesiana Genting e infine l’azienda triestina Fincantieri. Alla fine, è stata solamente quest’ultima, ad aver fatto un’offerta d’acquisto (79,5 milioni) al gruppo coreano STX, che, in procinto di fallimento, si era visto obbligato a cedere vari pezzi di sua appartenenza, tra cui anche i pregiati cantieri di Saint-Nazaire.
Subito dopo iniziarono le contrattazioni tra l’allora presidente francese François Hollande e Fincantieri, che si conclusero con gli accordi dell’aprile scorso: Fincantieri avrebbe ottenuto il 48,7 per cento, a cui si sarebbe aggiunto un altro 6 per cento grazie all’ingresso in società della Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste.
Questo avrebbe reso il gruppo di STX-France a maggioranza italiana con il 54,7 per cento dei capitali societari e la gestione dei cantieri di Saint-Nazaire. Il restante 45,3 per cento, invece, sarebbe stato di appartenenza della Francia: il 33 per cento detenuto direttamente dallo stato francese e il restante 12 per cento da Naval Group, partecipata a sua volta dello stato francese e importante gruppo di costruzioni di navi militari.
Con l’elezione del nuovo presidente francese Emmanuel Macron, la visione della Francia sugli accordi con Fincantieri prese una nuova piega. Lo scorso 27 luglio, il ministro Le Maire rese nota la decisione di nazionalizzare i cantieri navali STX esercitando il diritto di prelazione a pochi giorni dalla scadenza, confermando così le indiscrezioni pubblicate poco prima dal quotidiano francese Le Monde.
“L’intenzione di Parigi è garantire che le competenze straordinarie dei cantieri navali di Saint-Nazaire e i loro lavoratori restino in Francia: il nostro obbiettivo è difendere gli interessi strategici”, aveva argomentato il ministro Le Maire.
Tuttavia, la volontà della Francia di continuare le contrattazioni con l’Italia per un’eventuale collaborazione su questo fronte è continuata e continua tutt’ora. Ed è così che la nuova proposta del neo-governo francese ha preso corpo: la spartizione del capitale tra partner italiani e francesi deve essere del 50-50, con più garanzie su occupazione e rischio di delocalizzazione. In cambio, l’Italia otterrebbe la facoltà di designare il presidente del consiglio di amministrazione, il quale dispone di una voce preponderante in caso di pareggio in cda (consiglio di amministrazione). “Fincantieri è dunque chiaramente alla guida dei cantieri navali”, aggiunge Le Maire.
Ma il governo italiano si dice contrario a tale proposta e afferma di non volersi schiodare dalla sua posizione iniziale, secondo la quale Fincantieri dovrebbe ottenere la maggioranza assoluta di STX-France. I dialoghi circa la spartizione della società continuano e proprio nell’ultimo vertice a Roma del 12 settembre tra i ministri dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, con il collega francese, Bruno Le Maire, sembrano farsi più visibili i punti di contatto fra i due paesi.
L’ipotesi è quella di una maxi-alleanza Italia-Francia nella quale confluirebbero STX-France, Fincantieri e Naval Group per formare un gruppo unico a controllo paritetico, attivo in campo civile e militare, e perlopiù a governance italiana.
Ipotesi di intesa che non dispiace alle due parti e che serve come trampolino di lancio per un accordo vero e proprio che entrambi i paesi stanno cercando di elaborare. Tenendo conto dell’appuntamento cardine, ovvero: l’incontro bilaterale tra il premier italiano Paolo Gentiloni e il presidente francese Emmanuel Macron in programma a Lione il prossimo 27 settembre.
Il caso Telecom-Vivendi
Parallelamente alla questione di Fincantieri-STX, è emerso un altro nodo che appare ancora più difficile da sbrogliare: quello tra Telecom Italia e Vivendi. Oltre alla partita tra Italia e Francia che si stava giocando sui cantieri navali, si è infatti aggiunta poco dopo quella sulle telecomunicazioni.
Vivendi – società francese attiva nel settore dei media e delle telecomunicazioni – ha acquisito col passare dei mesi il 23,9 per cento del capitale di Tim-Telecom Italia, diventando così primo azionista della società.
In seguito, il governo italiano ha acceso un faro sul ruolo di Vivendi all’interno di Telecom, avviando un’istruttoria sull’eventuale attivazione del golden power, normativa che consente al governo di intervenire e bloccare un’azienda qualora fossero in pericolo interessi strategici nazionali. Una mossa che farebbe pensare a una risposta alla decisione di Parigi di nazionalizzare i cantieri di STX-France, bloccando così l’acquisizione da parte di Fincantieri e provocando inoltre le dure reazioni da parte del governo italiano.
A riguardo il ministro dello Sviluppo Economico italiano, Carlo Calenda, ha fatto sapere che non si tratta di una ritorsione. “Facciamo quello che il governo deve fare, cioè applicare le regole che esistono”, ha detto. “Abbiamo chiesto a Palazzo Chigi di verificare se c’è l’obbligo di notifica sull’attività di direzione e coordinamento” di Tim da parte di Vivendi.
Tuttavia, anche dopo le smentite del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) su una possibile ritorsione, il tempismo non può passare inosservato. Lo scorso 27 luglio – peraltro stesso giorno dell’annuncio della nazionalizzazione di STX-France – un comunicato stampa emanato da Telecom sottolineava che “il consiglio di amministrazione della società ha preso atto dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Vivendi”.
Successivamente, è proprio un comunicato pubblicato sul sito di palazzo Chigi a far sapere di avere ricevuto una nota, datata 31 luglio, nella quale il ministro dello Sviluppo Economico sollecitava “una pronta istruttoria da parte del gruppo di coordinamento all’interno della Presidenza del Consiglio al fine di valutare la sussistenza di obblighi di notifica e, più in generale, l’applicazione del decreto” sul golden power. Laddove si verificasse l’omessa notifica da parte di Vivendi scatterebbe una multa di minimo 300 milioni di euro. Ma proprio a riguardo, sembrerebbe che la società francese sia pronta a notificare al governo la propria influenza sul gruppo Telecom, evitando così le possibili sanzioni.
Nel frattempo, a puntare i riflettori sulla vicenda è stata anche la Consob, la commissione di vigilanza sulla borsa che si occupa della tutela degli investitori, dell’efficienza, della trasparenza e dello sviluppo del mercato. La Consob, che aveva aperto un’istruttoria sul ruolo di Vivendi in Telecom, ha di fatto accertato, lo scorso 13 settembre, che Vivendi esercita il pieno controllo sul colosso italiano. Ciò non solo contraddice la tesi sostenuta finora dal gruppo francese, e cioè di esercitare un ruolo di mera direzione e controllo, ma infligge ad esso anche un duro colpo finanziario.
Infatti, se il verdetto della Consob dovesse essere confermato, Vivendi si vedrebbe costretta a consolidare 25,7 miliardi di debito accumulato negli anni da Telecom Italia. Infine, è necessario ricordare che Vivendi, oltre a controllare il 23,9 per cento di Telecom, detiene anche quasi il 30 percento delle azioni Mediaset, violando così le norme italiane anti-trust.
Dunque Vivendi dovrà scegliere, entro aprile 2018, in quale dei due colossi italiani ridurre la propria partecipazione. Oppure, volendo lanciare una provocazione, perché non realizzare anche nel campo delle telecomunicazioni e media un grande gruppo paritetico franco-italiano? Ma, forse, le telecomunicazioni sono più strategiche dei cantieri navali.
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